di Onde Venti e Monumenti
o della Grotta del Saraceno
22 febbraio 2024
Google Earth, acquisizione del 3 novembre 2022, Vasto, Abruzzo, Italia.
La mattina presto era meglio, c’era il vento da terra.
La ‘Grotta’ è per i più un secret italiano, visibilissimo da Google Earth in uno dei suoi mood migliori.
Surfato da 30+ anni, è considerato uno dei points sinistri più belli d’Italia, con frangenti che possono superare i 300 metri di lunghezza.
Faccio parte di quella generazione che vedeva le previsioni meteomarine sul televideo, e conservo da 25 anni un libro in fotocopia “Abruzzo, 60 alberi da salvare”, di un autore, Valido Capodarca, che ha dedicato la vita a mappare alberi monumentali in Italia, a definirne le caratteristiche (fisiche e culturali che fossero), e a promuoverne un riconoscimento giuridico.
Se sembra scontato a chi legge che gli alberi monumentali siano tutelati come beni naturali, culturali, e del paesaggio, dico che fino al 2008 (quando cioè viene inserita, con la modifica dell’art. 136 del D.lgs. 63, la dicitura ‘ivi compresi gli alberi monumentali’), erano considerati, a livello normativo, legna da ardere, roba “vecchia, senescente, seccaginosa, marcescente”.
Per campanile, scrivo pure che l’iter di protezione dei patriarchi parte dall’ Abruzzo nel 1971 con Franco Tassi e pochi altri pionieri, e che è questa protezione è ancora lontana dall’essere realizzata.
Matvejevic nel suo Breviario scrive che “gli abitanti del Mediterraneo parlano meno di onde che di venti, forse per il fatto che gli ultimi influiscono maggiormente sugli stati d’animo, in definitiva sulle parole stesse’.
Immaginate lo stato d’animo e le parole alla scoperta 6 mesi fa di un progetto da 3,5 milioni di euro che chiuderà completamente la baia del Saraceno con barriere frangiflutti, cancellandone per sempre l’onda con un intervento sovradimensionato, vecchio per tecnologia e modalità, in una delle spiagge più belle d’Italia.
“Attività commerciali in ginocchio”, si è letto sulla stampa locale, a giustificazione dell’intervento.
Da satellite, nella prima immagine si vede la spiaggia in concessione nel lato nord, i recinti di due proprietà in croce nel lato sud, e nessuno in ginocchio. Sempre nella prima immagine, è evidenziato il movimento della linea di costa dal 2004 a ieri utilizzando lo storico delle immagini in archivio GE, non i servizi segreti.
Nella seconda immagine, si vedono gli italici ombrelloni in serie nella zona verosimilmente dichiarata “in ginocchio”, è una immagine del 2010 e la secca è sostanzialmente uguale a quella di oggi.
Nella terza immagine,cio che è stato approvato
Da un punto di vista tecnico, nonostante dubbi sollevati da professionisti di ambito, possibilità di utilizzo di tecnologie meno impattanti, il supporto di (alcuni fra i massimi) esperti in materia sulla necessità di un approccio completamente diverso, il progetto sembra inattaccabile.
Ma se non si riesce a contrastare un progetto come questo da un punto di vista tecnico, è possibile difendere uno dei più bei surf break italiani in quanto surf break? E’ possibile riconoscere eccellenza monumentale di un luogo in virtù della sua onda? Esiste un appiglio normativo per salvaguardare un surfbreak come patrimonio naturale, monumentale, e come risorsa sportiva, socioeconomica e culturale? Esiste in Italia una strategia propositiva che provi a generare norme o meccanismi via via progressivamente sostanziali di protezione e tutela del frangente come elemento costitutivo degli ecosistemi costieri e marini, per prevenire minacce future?
Risposta breve: no.
E se qualche studio legale volesse farsi sentire ben venga che siamo disperati, e c’è da essere disperati del fatto che ogni onda italiana è potenzialmente in pericolo perchè, di fatto, non esiste
Nonostante le onde intese come ‘frangenti’ siano un elemento essenziale per il mare, componente fondamentale del sistema naturale, condizione, icona, nonostante diano forma alle coste, le ‘onde’ non esistono in senso normativo, non sono oggetto di riconoscibilità giuridica come patrimonio e risorsa naturale e culturale.
Men che meno esiste giuridicamente il concetto di surf break; se un surfbreak è quella striscia del litorale dove, grazie alla combinazione positiva di fattori di idrodinamica marina, meteorologia e morfologia costiera, si generano onde con una forma adatta per la pratica del surf, non esiste menzione in nessuna norma, e pur considerando che la maggior parte delle coste non producono onde surfabili, quando lo fanno c’è un vuoto, perchè un surfbreak giuridicamente non esiste: i surfisti, sostanzialmente, non hanno luogo.
Eppure esiste dagli anni ‘90 una mappatura documentale certa di larga parte degli spot italiani, (come parte del processo di mappatura e codificazione degli spot su scala mondiale) sviluppata da un gruppo di surfers-ricercatori che ruotavano attorno alla rivista Surf News e che ha strutturato, relazionandosi con le comunità locali, una localizzazione certa e una classificazione dimostrata, e dimostrabile, delle caratteristiche – codificate, comunicabili con un linguaggio condiviso su scala globale – e della specifica idrodiversità di ogni spot mappato: tipo di onda, finestra swell, stagionalità, periodo, tipo di frangente, fondale, venti funzionali, maree, canali di accesso, pericoli, ecc.
E’ grazie a quella mappa se esiste oggi la possibilità di avere 100.000+ persone che si muovono nel bene e nel male alla ricerca di onde da un spot all’altro, con previsioni meteomarine costruite per e su quella mappa, e scuole surf, professionisti e cani sciolti, federazione, media, business plurimilionario and so on.
Ed è grazie a quella mappatura se esistono, ancora oggi, posti segreti, anche se si vedono perfettamente su Google Earth: ci sono comunità che non sono mai volute apparire sulle mappe, altre che via via sono lì comparse, altre che negli anni hanno voluto via via scomparire.
Il fatto – certo, evidente, che accomuna tutte le storie che compongono il mosaico surf italiano – è che nonostante sia il dove ad aver creato il cosa, per quanto riguarda il surf, il dove all’oggi non esiste, se è possibile che bellezza monumentale e decenni di storia locale vengano spazzate via senza nemmeno la possibilità di dire a livello giuridico: fermi, qui esiste questo.
Ci sono esempi di decine e decine di onde scomparse, tante altre in pericolo, e biografie di comunità che hanno provato a reagire in maniera reattiva, ma non esiste all’oggi in Italia nessuna azione giuridicamente propositiva, che provi cioè a strutturare un percorso e un agire giuridico e di comunità che includa espressamente la nozione di ‘onda’ e ‘surf break’ come soggetto di norma.
Manca all’oggi un precedente, un appiglio, uno strumento.
Modelli a cui ispirarsi, diversi per tipologia, già esistono nel mondo: la Nuova Zelanda, primo paese al mondo ad adottare una legislazione che tutela surf breaks in forma diretta, ha garantito protezione giuridica (2010) a 17 onde di importanza nazionale; questo riconoscimento ha permesso che a cascata onde considerate di importanza regionale o locale venissero via via attenzionate, creando de facto un sistema di protezione e valorizzazione dal livello nazionale a livello locale.
Il Perù è un altro esempio di tutela specifica dei frangenti, che con la “ley de preservacion de las rompientes apropriadas para la practica deportiva”, (2001, 2013) ha protetto 43 onde a livello governativo.
Il Cile sta lavorando a una legge simile, e punta all’approvazione nel 2024; le comunità locali nel frattempo hanno ottenuto che venisse inserito il frangente di Punta de Lobos all’interno della omonima riserva UNESCO garantendogli così protezione indiretta, metodo seguito anche alle Azzorre, dove si è riusciti ad includere onde all’interno di aree marine protette come sistema di protezione.
L’Uruguay ha avviato un processo di creazione di Riserve di Surf riconosciute dallo Stato attraverso la validazione di un elenco dei frangenti, e nell’anno 2021 il Ministero dell’Ambiente ha espresso appoggio formale al programma.
In Inghilterra è nata nel 2024 una World Surfing Reserve in North Devon, una delle 12 patrocinate da SaveTheWave coalition, assieme ad Ericeira, in Portogallo, e altre in Messico, Cile, California, Australia; sebbene queste WSR non abbiano valore vincolante, sono un passo positivo nel cammino verso un riconoscimento sostanziale del patrimonio che i surf break rappresentano in termini naturalistici, paesaggistici, culturali, ed economici, per i territori e le comunità coinvolte.
In Francia esiste, recentemente istituita, (2023) la riserva d’onde di Quiberon in Bretagna; voluta a livello comunale, che punta a difendere l’idrodiversità delle onde del territorio in oggetto, ossia le onde nella loro diversa identità, e di riflesso il tratto di mare e di costa che concorrono alla loro formazione.
Ancora: le Hawai’i non menzionano a livello normativo le onde in maniera diretta, ma attraverso la legislazione vigente sono utilizzati meccanismi indiretti per proteggere le onde considerate attività ricreative oggetto di protezione, includendo così luoghi dove praticare il surf che includano le onde.
Il Costarica non ha una legislazione specifica per la protezione delle onde, ma ha promosso l’ attività del surf come attività di interesse nazionale: dal 2019 esiste una legge che dichiara la pratica e lo sviluppo del surf di interesse pubblico e attività di importanza turistica economica e sportiva.
Il Marocco agli inizi degli anni 2000 ha deciso di bloccare l’allargamento del porto di Safi (il porto commerciale più grande del Marocco centro – settentrionale) per salvare una delle 10 onde più belle del mondo, le Jardin di Safi appunto, riconoscendone di fatto il valore monumentale, grazie ai sacrifici e all’impegno di uno sparuto gruppo di devoti locali, un salvataggio site – specific colpevolmente ancora poco raccontato.
In Italia una normativa specifica che riconosca le onde come patrimonio naturale e culturale è ancora sostanzialmente inesistente; questo, nonostante l’evidenza racconti che quasi un terzo delle coste italiane siano fagocitate da barriere frangiflutti con l’Adriatico, letteralmente, cimitero di massi, e che un appiglio, un precedente, uno strumento sia necessario come aria.
Leggi, decreti, strumenti di pianificazione territoriale, piani spiaggia o altri strumenti legali che menzionino i frangenti, all’oggi, non esistono.
Non esiste un elenco depositato a livello ministeriale di frangenti meritevoli, o l’avvio di una dialettica con le Regioni per una normatizzazione, non è stato avviato all’oggi nessun processo di riconoscimento, e a parte sporadici interventi locali, nè le onde nè gli spot come luoghi esistono in senso giuridico. Se a livello comunale esistono sparuti meccanismi di identificazione site-specific, la situazione generale è di un gigantesco vuoto normativo e identitario sul ’dove’ come esito e ragione prima ancora che come luogo specifico.
Un riconoscimento sostanziale delle onde come meritevoli di protezione e tutela, in Italia, è possibile: esiste un elenco e una mappatura degli spot, esistono criteri di valutazione della qualità di queste onde internazionalmente codificati, uno storico e una storia locale, un gruppo di interesse e di pressione, esistono requisiti per dimostrarne carattere di eccellenza e monumentalità in senso paesaggistico, naturalistico, socio-culturale, economico, gia’ esistono riferimenti pertinenti in leggi e normative che trattano questioni ambientali, paesaggistiche o culturali che possono essere utili nello sviluppo di un processo di riconoscimento identitario e normativo dei surf spot.
Esiste inoltre l’evidenza scientifica che la stragrande maggioranza degli spot di eccellenza insistono all’interno di hotspot di biodiversità ecosistemica (a livello mondiale come a livello nazionale): riconoscere la specificità dei frangenti in tantissimi casi significa riconoscere – e per questo proteggere – ricchezza ecosistemica, dove l’onda è parte del tutto e simbolo di una protezione più ampia, riassumibile nel concetto di surf-ecosystem e foriero di possibilità nuove.
C’è bisogno di confronto, sicuramente: la pubblica opinione, le comunità coinvolte, i media, la Federazione, la comunità scientifica, la politica di territorio, regionale, nazionale, l’ambientalismo, serve un dibattito che sostenga la necessità o meno di vedere riconosciuta a livello giuridico l’esistenza dei surf-break come evidenze e esiti meritevoli di attenzione e tutela, il frangente come patrimonio, paesaggio, bene culturale ed ambientale, un dibattito che contribuisca alla nascita di siti di interesse meritevoli di protezione in quanto surf-ecosystems, e arrivare così ad avere strumenti, un percorso, e precedenti, per il presente e il futuro dei tanti ‘dove’ italiani e delle comunità coinvolte di oggi e domani.
Di pacifismi, Europa, nazismi, e ipocrisie
8 marzo 2022
Leggevo ieri Toni Capuozzo, su fb: “[...] un grande leader è quello che accompagna il suo popolo nella traversata del deserto, lo salva [...]”, disquisendo sulla utilità di una (parziale) resa Ucraina come salvazione.
Nei commenti dei followers al suo “elogio alla resa dignitosa”, una declinazione a migliaia e a varie intensità del seguente concetto: Zelenskji, nel rifiuto a cedere (qualcuno diceva “pur di non dimettersi”, qualcun’altro “pur di non fare concessioni”, qualche altro, semplicemente :’fenomeno!’, alta la percentuale, soprattutto di donne, che scrivevano ‘che tratti per amor di Dio!’ insomma, declinazioni di resa, realpolitik, paura), ecco, Zelenskji, appunto, è disposto a lasciar sterminare il suo popolo, (e “noi”), a far scoppiare la terza guerra mondiale, pur di non trattare.
Arrendersi, concedere, perchè no, capitolare, per mettere in salvo.
Ho chiesto quali concessioni dovrebbe fare, di grazia, Zelenskji: se quelle richieste dal Cremlino per terminare l’operazione speciale “within minutes”, come dichiarato – neutralità, niente NATO e niente EU, smilitarizzazione, riconoscimento russo della Crimea, indipendenza repubblichine popolari, un nuovo governo – o altre, ma non ho ottenuto risposta.
Oggi, in un nuovo post, “sulla strada del ritorno”, scritto da quella Bosnia che lui, Capuozzo, conosce benissimo, trovo “l’impegno (ucraino n.d.r.) a non entrare nella nato, larghe autonomie ai secessionisti, sciogliere il battaglione Azov e mettere fuori legge Centuria (“stranamente, nessuno ne parla mai…”), scrive proprio così Capuozzo, non che alluda eh, figuriamoci, ma che si stupisca che non se ne parli, avevo quasi dimenticato l’intento dichiarato di ‘denazificare’, com’era l’annuncio a reti unificate? “denazificare una nazione governata da drogati nazisti”.
“[...] Sì, è umiliante, ma quante vite umane salvi, mettendo Putin in difficoltà, obbligandolo a rilanciare chiedendo dimissioni di Zelensky e indipendenza delle repubblichette, ma insomma è diplomazia…..”.
Effettivamente, mentre scrivo, intravedo nella nebbia di notizie che Zelenskji avrebbe acconsentito a non meglio specificate aperture per quanto riguarda Crimea, Donbas, e neutralità (Nato); non so, però, se Putin si accontenterebbe o meno di queste ‘concessioni’; per me, il fulcro della de-escalation resta Putin, meno Zelenskji, capitolare a questo Cremlino mi fa immaginare scenari di rappresaglia e terrore assoluti e già visti, ma non ho strumenti per rispondere, non credo lo sappia nemmeno Capuozzo, che si stupisce comunque di Azov e Centuria, e continua nell’elenco di cosa auspica, piuttosto che l’ eccidio certo: [...] “intervieni a mediare. L’Europa, mandando armi, si è bruciata la possibilità di mediare, fatto salvo le telefonate senza effetto di Macron”.
Ecco, Macron a parte, mi chiedo e chiedo perchè Capuozzo non si interroghi anche sulla presenza neonazista tra le fila dei militari russi; la presenza nazifascista negli eserciti è un problema radicato in tanti paesi, russia compresa, a maggior ragione in contesti dove esiste un nazionalismo marcato. Perchè Capuozzo non parla dei volontari ceceni di Kabirov, complice di Putin nel massacro di Grozny, degli assoldati a 300 dollari al mese dalla Siria del macellaio Assad, chiamati a ‘liberare’, dei neonazisti – italiani, per esempio – al soldo di Putin in Donbas, ma si stupisca che nessuno parli di Centuria, in un post accorato e un riferimento a Centuria, o Azov.
Perchè Capuozzo non parla di Wagner.
Non lo so, è libero di parlare di quello che gli pare, mi rispondo ma non mi convinco.
Perchè Wagner è più ‘famosa’ di Centuria? Perchè Wagner è una società di contractors, non è inquadrata nell’esercito, a differenza di Azov? Perchè la Russia è una potenza nucleare? Perchè l’Ucraina uno stato con le pezze al culo?
Sono rapporti di forza, coglione! Mi rispondo da solo ma non mi convinco, io che mi sono abbeverato per anni ai reportage di Capuozzo – che considero comunque un gigante – ma che non sono mai stato un suo fan, anzi, sarà anche perchè -perdonerete questa riduzione di una professionalità complessa – ma a casa mia la fininvest da ragazzetto l’ho potuta vedere poco, regole familiari, mia madre, sapete.
Zang! Tumb! Tumb! Centuria, Wagner, e cavalcate, già.
Azov (nel frattempo verosimilmente annientato a Mariupol proprio dai tagliagole ceceni di Kabirov), è argomento di fior fiore di intellettuali e antifascismi italiani, Centuria è tema d’indagine, ma si fa finta -spesso e letteralmente- che non esistano gruppi di neonazisti nell’esercito russo, che non esista un movimento ispirato a Ivan Il’in e al neonazismo di Dugin nella Duma, che fior fiore di intellettuali evitino scientificamente di sottolineare quanto Putin e questo cremlino siano ispirati da questi ‘pensatori’, da quel ‘bolscevismo sintesi tra comunismo e fascismo’, nelle parole di Dugin, il “Putin’s Rasputin” (sic).
Bah.
Non capisco perchè in Italia si faccia tutta questa fatica a riconoscere che questa Russia, questo Cremlino, siano un covo di fascisti di merda. Che sostiene – nelle parole, appunto, di Dugin, un “fascismo fascista radicalmente rivoluzionario e coerente”. Anche per rispetto dovuto a quelle migliaia e migliaia di oppositori, manifestanti, giornalisti, persone brutalizzate da un regime, da questo regime, riconoscere il neofascismo in questo cremlino è un atto intellettualmente onesto oltre che doveroso, davvero non capisco, sarà realpolitik, ma davvero non capisco.
Zang! Tumb! Tumb!
Ero a Maidan quel febbraio 2014.
Yanukovich era scappato all’alba, poco prima era terminata la mattanza.
Avevo già visto altre piazze in quegli anni: in Kosovo nel 2010, le prime elezioni senza Onu, Jakarta contro l’inasprimento legislativo di quegli anni; tanta Cina, 6 mesi in due anni; elezioni in Somaliland, Marocco, Tahrir in Egitto 3 anni prima, e un paio di mesi prima, Gezi park, a Istanbul. Venivamo io e Giovanna da un lungo viaggio attraverso le repubbliche centroasiatiche (letteralmente: dopo Turkmenistan, Uzbekistan, Kyrgyzstan, eravamo ad Aktau in Kakakstan poche ore prima di arrivare a Kyiv, passando per Uralsk).
La presenza nazifascista nelle proteste di quella piazza era uno dei motivi di quella nostra ricerca sugli ‘stan’- come il ruolo e la presenza del Cremlino, come la russofilia, la russofobia, la nostalgia, e la memoria – ricerca portata avanti nei giorni e nei mesi successivi: beh, in quella piazza abbiamo trovato tanta, tanta, tanta bellezza. Tanta dignità, fierezza, una Nazione, un popolo, ideali, diritti, bisogno, libertà, Euromaidan.
Questo vorrei che anche Capuozzo, finalmente, lo accettasse: la questione ucraina non può essere ridotta, ancora e ancora, a nazismi e allusioni. La questione ucraina – complessa, stratificata, articolata, giovane, problematica – non può essere schiacciata alla peggiore propaganda del Cremlino, non può essere ridotta all’allusione, alla presunzione di connivenza, alla complicità con le peggiori ombre nere.
Che anzi, si allungano, tentacolari, da quella che è stata, una volta, ma che non è più, l’Unione Sovietica,
mentre tante voci e tanti occhi, in Italia più che altrove, continuano a far finta di non vedere e sentire.
Per tanti, in Italia più che altrove, ‘l’allargamento a est della nato’ è argomento ragionevole e ragionato di sicurezza della Russia; “l’allargamento verso ovest della Russia”, il solo accennarlo, è esacerbare le tensioni, miopia, o menzogna, parlare dell’allargamento verso ovest del regime di Putin come “vital security issue” dell’Europa, è gettare benzina sul fuoco, o al massimo, ‘taboo’, per fior fiore di intellettuali italiani.
Zang! Tumb! Tumb!
E così, mentre la Cina annuncia di ritenere la responsabilità del conflitto della NATO e degli US, io qualche domanda ce l’ho: Il referendum del 28 febbraio – la fine della neutralità nucleare bielorussa-: è follia che l’Europa ne chieda conto, che ne chieda ‘annullamento? E’ aumentare la tensione, considerare questa decisione una minaccia? Chiedo. Più in generale, può l’Europa considerare un pericolo la non neutralità bielorussa? Sottolineare che la Transinistria frontiera d’Europa non sia solo folklore, è violenza anti-russa? Allargamento a est della Nato è un vital issue per la sicurezza della Russia, ma la pressione da est Russa sulla frontiera europea, può essere motivo di timore o escalation, oppure no, vale solo se ne parli la Russia? I missili puntati sui Baltici dall’enclave di Kaliningrad, è violenza e aggressività europea? L’Abkazia, il sud Ossezia, la Crimea, le repubbliche popolari, fino a quando ‘liberare’ con la forza e annettersi territori di stati sovrani in nome di genocidi unilateralmente dichiarati e mai verificati da nessun organismo indipendente sarà accettabile? Davvero, non capisco, fior fiore di intellettuali me lo spieghino.
Oltre a stupirsi del fiorire di sterco nazista e di nazismi (dovunque e non solo in Ucraina, ribadisco): la Finlandia e la Svezia neutrali – per imposizione, minaccia, russa – con questa Russia alle porte – è liberta’, o a questi due paesi è concesso di avere paura, e di avere una sovranità? Spiegatemelo, davvero. La stessa Ucraina – Crajina, appunto, frontiera -: lì, gli interessi nazionali russi sono legittime richieste che vanno ascoltate; le richieste europee sulla sua stessa Crajina, sono ingerenze inaccettabili: un governo filorusso in Ucraina è accettabile mediazione, un governo filo-europeo è colpo di stato della nato.
Davvero, non capisco.
La paura dei Baltici di questa Russia, è fobia isterica? le preoccupazioni polacche, alla luce della loro storia, sono folli? L’America: più e più volte ha dichiarato di considerare il fronte europeo come secondario, impegnata com’è a gestire intanto, i suoi enormi -enormi- problemi interni, e poi – poi – a fronteggiare la Cina, in un conflitto ibrido nel quale è già in ritardo. Trump ha più e più volte sottolineato che 300.000 soldati americani in Europa siano una spesa eccessiva per gli u.s., e ha chiesto – alla sua maniera balorda – più e più volte che siano gli Europei a pagare e pagarsi la Nato sul proprio territorio. Tutte menzogne? Biden ha subito, dal suo insediamento, fatto capire la volontà di disengagement progressiva dall’Europa, un chiaro invito da parte americana, all’Europa a pensare ad un suo maggiore protagonismo – anche economico – alla sua difesa. E onestamente, a parte la dichiarata volontà ucraina di voler entrare nella nato (più in Europa che nella Nato, a dirla tutta), la stessa alleanza atlantica non ha mai accellerato questo ingresso, tutt’altro, oltre al fatto poco ricordato, per dirla alla Capuozzo, che in base all’articolo 10 dell’Alleanza, non è possibile accettare nell’Alleanza nessuno stato che abbia al suo interno conflitti e dispute militari irrisolti.
Ma a parte tutto questo: l’Europa, nelle sue legittime esigenze di sicurezza continentale, dove dovrebbe guardare, se non alla NATO, con la Russia, con questa Russia, alle sue frontiere?
Fatemi sapere, davvero, non capisco.
Zang! Tumb! Tumb!
Mi si può rispondere che non esiste ancora, l’ Europa, ma ancora gli egoismi degli stati nazione.
Sicuri? Siete Sicuri? L’Europa uscita dalla pandemia e dall’assalto dei populismi,
l’Europa che sta affrontando questa crisi militare sul suo territorio,
siete sicuri non sia in potenza e in atto una Europa nuova, siete sicuri non sarà di una politica militare comune europea, questo tempo?
Sicuri, che allo stato attuale, l’Europa dovrebbe ridimensionare – addirittura rifiutare, per qualcuno – la propria adesione continentale alla nato, che le parole della Russia sono condivisibili, pur non tenendo in considerazione evidenti vital security issues europei?
“We will reconsider the presence of Nato in eastern Europe within minutes, if Russia accepts our conditions”.
Immaginate? L’Europa che ritiene”vital security issue” la difesa del proprio confine orientale, e ha avviato una”special operation” che prevede il posizionamento delle strutture di difesa lungo tutto il confine est, fino a quando la Russia non garantirà un riequilibrio e una demilitarizzazione nella (sua) frontiera ovest: lo spazio della trattativa e della diplomazia è aperto, al fianco alla fermezza di queste posizioni, che rappresentano vital security issue continentale.
E’ il (mio) macismo virile da maschio italiano con la panciera che mi fa scrivere questo, che mi fa usare le stesse parole utilizzate dalla Russia, oppure devo continuare a fare finta che le posizioni sulla sicurezza russa siano argomenti leggittimi, mentre quegli stessi argomenti, se usati dall’Europa, sono ingerenze violente irrazionali e antirusse ? l’Ucraina ha diritto ad avere un propria politica, un interesse nazionale, una visione di lungo periodo, delle ambizioni nazionali, o è antirussa questa velleità? La Moldova, la Georgia, possono avere delle volontà in politica estera, o offendono le sensibilità russe se non accettano quello che la Russia vuole? Quante Cecenie, ancora? Le promesse tra Gorbacev e Reagan di non allargamento, a parole, senza firme. E i trattati firmati invece? La denuclearizzazione ucraina in cambio di integrità territoriale, il trattato di Budapest, che fine ha fatto? E’ morto in Crimea? C’è spazio per questa diplomazia, per queste domande, o è una escalation qualunque interesse continentale, se interferisce con questa Russia? Può l’Europa come soggetto politico, avere una visione?
Zang! Tumb! Tumb!
A chi è contrario all’invio di armi in Ucraina: sapete – sappiamo, e lo sa pure Capuozzo, che ricorda sicuramente l’embargo sulle armi alla Bosnia di 30 anni fa, Bosnia che resisteva contro l’esercito jugoslavo, Davide e Golia e il sangue degli slavi del sud, e sa pure Capuozzo che gli armamenti, allora, erano bombette rispetto a quelli di oggi – che la Russia utilizza la tecnica dello ‘starve and submit’ per ‘liberare’ territori
- letteralmente: mettere alla fame e sottomettere – l’abbiamo visto in Siria, sappiamo – che questa è la tecnica militare russa di assedio delle città, tecnica rodata e efficace, con l’attuale ministro della difesa russo – civile, ma che usa divisa militare -, stratega in Siria; sapete – sappiamo, si sa – che funziona così. Che si circondano le città, si distruggono progressivamente tutti i canali di approvvigionamento di cibo, medicine, armi, si chiudono gli accessi, le vie di fuga, si lascia crepare la gente di fame, stenti, e bombardamenti, indiscriminati, su tutto e tutti. Dal cielo, bombe a caduta, bunker buster – le Betab-500 da 1000 libbre, 435kg – bombe, addirittura!!!! meno intelligenti delle bombe intelligenti
Zang! Tumb! Tumb!
su ospedali, quartieri residenziali, rifugi, case, civili, dovunque, bombe a grappolo, abbiamo visto il sarin anzi, no, cloro, che bomba chimica non è o forse si, dipende, e bunker buster di 435kg sopra a gente chiusa in metropolitana o nelle cantine, boooom. Si sa -sappiamo – che si fa fare il lavoro sporco di stanare la gente ai tagliagole assoldati, a contractors, a dannati.
Sapete – si sa, sappiamo – che i corridoi umanitari russi sono trappole, l’avete – l’abbiamo – visto in Siria; che si fanno uscire civili alla fame tra due ali di nemici e li si carica su autobus diretti, altrove, nel frattempo si riadatta il combattimento, postazioni, rifornimenti, si prende la mira, e via, si continua, starve and submit, boooom, 120.000+ bombardamenti in tre anni, Zang! Tumb! Tumb!, russi e lealisti a bombardare una resistenza sprovvista di aereoplani e mezzi di difesa antiaerea, 120.000+ volte, Aleppo, non solo, Siria, Davide e Golia dai cieli, abbiamo visto, abbiamo accettato, sappiamo che anche dopo il cloro, dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio, lanciato dal cielo sulla gente, da sopra a sotto, non si è voluto agire, che la linea rossa non è stata superata, forse si, no, Obama e russi e l’occidente, Trump, Bannon, Putin, Dugin, Assad, tra legittime agende, ingerenze, regole d’ingaggio, l’agonia di questa Onu e della gente, si è lasciato correre.
Per realpolitik, perchè tanto sono terroristi, arabi tagliagole, per il rischio di una guerra mondiale, perchè la russia ha la bomba nucleare.
Ecco: il diritto internazionale – anzi: la speranza di un diritto internazionale – subordinato definitivamente alla bomba atomica, di questo si è trattato e si tratta. Non più nemmeno spazio per una ‘resa dignitosa’, no, ma subordinazione, sopraffazione, schiavitù, stupro, barbarie, potenzialmente perpetua.
La bomba nucleare sopra a tutto.
Non solo milioni di profughi usati come armi, fino a 5 milioni di persone, una stima, sradicate solo questa volta, fino alla prossima liberazione, con populisti, posizioni, dibattiti pubblici che già abbiamo visto essere schiavi marionette e abbeverati di propaganda, astuti attori pagati a cercare con pervicacia di distruggere l’Europa dall’interno
- questa Europa che, pur tra mille fallimenti e difficoltà, ha resistito al peggiore e più infame populismo,
alla pandemia, a migliaia e migliaia di abbeverati alla fogna sovranista a sfruttare profughi e frontiere
come armi per distruggerla, per massacrarla, con il solo obiettivo di smembrarla, di sezionarla,
non è guerra -ibrida, infame – questa?
Non solo l’ovvio ricatto energetico del maggiore fornitore europeo – questo, nonostante questa Europa abbia affidato – secondo me, a ragione e fiducia – il proprio stesso sostentamento energetico, in ottica di integrazione continentale, per vedersi attaccata da dentro, dal suo cuore, e accusata di essere un pericolo, proprio da questa Russia a cui aveva sostanzialmente dato il proprio motore, non è guerra?
Non solo la peggiore guerra di propaganda sul suolo europeo al soldo di questo Cremlino,
non solo – e arriverà il momento in cui una commissione parlamentare d’inchiesta, in Italia, una gigantesca indagine europea, farà luce sulla guerra ibrida che come Europa abbiamo e stiamo vivendo contro questa internazionale populista, nomi e cognomi, infiltrati di Putin, dovunque, arriverà-.
Anche, il ricatto perpetuo e la minaccia con la bomba n
tutti, “conseguenze che mai avete immaginato” ha detto qualcosa del genere, minacce con la certezza dell’impunità, se non vengono accettati ultimatum, condizioni rilanciate e sostenute da migliaia e migliaia e migliaia di abbeverati alla fogna della più bieca propaganda, senza più nemmeno lo spazio della diplomazia, anche della resa dignitosa, ma solo territorio della prevaricazione e del saccheggio istituzionalizzato, dello stupro politico, del dominio.
Le minacce continue di Putin, non sono già guerra?
Questo, mentre il movimento pacifista (italiano) grida nè con la Russia, nè con la Nato,
contro ogni guerra lasciamo sbocciare la pace, contrari all’invio di armi all’Ucraina.
Legittimo, per carità, ma non in mio nome.
Nietzche è morto, Dio pure, e pure Dostoevskij, ma per quanto mi riguarda,
Dio è morto definitivamente su Aleppo con quel cloro dal cielo,
mia figlia si chiama Dusha, mio figlio Delio,
e vorrei che il padre eterno risorgesse su Kyiv oggi.
Strumenti a chi si sta difendendo, per proteggersi e contrattaccare.
Una mattina, mi son svegliato, o bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao.
Sanzioni contro questo regime criminale, ancora e ancora,
e sobbarcandomi con chiarezza e lealtà le conseguenze
bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao
Confidando che questo regime collassi, che non trovi più nemmeno i soldi per pagare i soldati,
- 100 dollari, il prezzo alla famiglia di ogni caduto al fronte.
100 dollari, uno stato di morti di fame, il prezzo di un morto per la patria.
Che ci sia spazio alla diplomazia, alle concessioni, anche alla asimmetria,
alla resa parziale, onorevole,
non solo prevaricazione, schiavitù, propaganda,
di questo regime infame.
Come avrei voluto le bombe Nato sulle postazioni lealiste e russe, già anni fa, in Siria,
come ho riconosciuto positiva la (folle, si, ma leggittima) uccisione di Souleimani il macellaio
a Baghdad,
se continueranno con la starve and submit sopra a milioni di persone dai cieli d’Ucraina,
senza che nessuna antiaerea possa difendere,
io voglio le bombe nato sulle postazioni russe.
E’, sarà guerra mondiale?
Non lo so. Davvero, non lo so.
Lasciare che l’Ucraina venga schiacciata senza sostegno militare alcuno salverà il mondo dalla guerra mondiale?
Non lo so.
La ‘ragionevole resa’, una ‘capitolazione’, della Ucraina,
farà tornare finalmente la pace, spegnerà i venti di guerra?
Non sa nessuno nemmeno questo.
Domande, solo domande.
Le occupazioni de facto della sud Ossetia, della Abkatia: il rischio che questa Russia decida per la possibile definitiva annessione, e per prendersi definitivamente pezzi di Caucaso e mar nero alla Georgia, alla luce degli avvenimenti degli ultimi anni e della politica russa, è una possibilità?
La Transinistria: pensare che dalla Crimea la Russia si spinga prima o poi fino a lì, con l’intenzione si prendersi mezzo mar Nero, dalla Georgia alla Romania, in nome, chessò, di un presunto genocidio russo, è delirio o legittimo terrore?
La Moldova: può questa evidente politica di espansione russa, in barba a qualunque diritto internazionale, preoccuparla, oppure deve continuare a confidare che una sua perenne neutralità non le faccia correre rischi di occupazione e saccheggio e occupazione? La Bielorussia, la dittatura più longeva d’Europa, marionetta nelle mani di questa Russia, ma più in generale: quanta autonomia di manovra, di decisione, ha e avrà l’Europa in politica continentale, nel suo rischio perenne che questa Russia si innervosisca e agisca, così?
Domenica sono passato a Domusnovas in Sardegna, con la panda, Giovanna, e i nostri bambini.
A Domusnovas si fanno le bombe, non solo lì, e le persone incrociate erano poveri cristi, in una delle aree più povere d’Europa.
A casa, guardo i bambini nel letto.
Penso a quanto possa sia stucchevole una retorica che parla, che mostra sempre di bambini.
Stucchevole: ma a ben guardare, non si vive per i bambini?
L’impunità, la minaccia, la menzogna, è futuro?
Ecco: a Toni Capuozzo glielo vorrei chiedere, questo si, visto che ha scritto il post dalla Bosnia che conosce benissimo: perchè perfino in Serbia poveri cristi hanno manifestato a favore degli ucraini, mentre in Italia si assiste ad un livello di giustificazionismo, benaltrismo, quando non ad un vero e proprio servilismo, degli interessi putiniani, così gigantesco e infame?
2020
Ogni matrimonio è il racconto di una intimità condivisa.
Ma ogni matrimonio è anche frammento di una storia più grande,
è uno spaccato assolutamente vivo della società, della cultura, del periodo storico in cui è ambientato.
Antropologicamente parlando, è testimonianza, fatto, documento.
Storia.
Sono felice di poter testimoniare momenti di intimità condivisa in tempi di pandemia,
qui, adesso.
Abruzzo, Italia, 2020.
Canary Islands, winter 020
autunno 2019
Una proposta nata per caso,
una giovane coppia innamorata di queste montagne,
il giorno prima della Grande Neve.
2 gradi centigradi, libeccio in quota,
Campo Imperatore,
Abruzzo,
Italia.
Estate 2019
Monastero-Fortezza di Santo Spirito,
Ocre (AQ).
La terza Abbazia Cistercense fondata in Italia,
la prima in Abruzzo.
Le sue origini e l’epopea Celestiniana camminano insieme da 800 anni.
La sala è la chiesa (sconsacrata) del complesso monastico,
con affreschi del 1250 c.a.
Una location incredibile.
Bono e Ale, grazie di cuore
Estate 2019
Santa Maria di Ronzano (1181 c.a.)
castel Castagna, (Te)
Perchè sposarsi in Abruzzo.
Novembre 2019
Roccamorice (PE), e un pò più sù,
oltre Eremi e fino ai 2000 metri di Mamma Rosa,
attraverso la via dei Tholos
faggete e boschi
più forti del tempo e degli incendi.
Perchè sposarsi in Abruzzo.
Majella Madre, Abruzzo, Italia.
Milano c/o Fabbrica del Vapore
Somaliland, a video
13 gennaio 2017
Festa
giugno 2017
Zarzis, Europe
“Guarda che non c’e’ niente di normale nel cercare corpi di gente annegata lungo la costa”, mi dice Mohsen mentre camminiamo sulla battigia a est di Zarzis, all’alba e alla ricerca di rifiuti e di corpi di genti annegate.
Perche’ correnti sottomarine – e dio solo sa quanto è complesso il Mediterraneo mare – e venti, batimetria, conformazione di costa e fondali, moto ondoso, sfiga, – spingono qui la munnezza, in questo tratto di costa tunisina a 250km da Tripoli, e i morti annegati dell’ultimo naufragio alla fine sempre qua arrivano a spiaggiarsi, tra plastica e rifiuti provenienti da tutto il Mediterraneo mare.
E Mohsen Lihidhed, che da 25 anni cammina lungo la costa per cercare plastica e oggetti sputati dal mare, lui che e’ un postino in pensione di 64 anni, che ha provato a fare un museo chiamato ‘la Memoria del Mare’ con tutta la munnezza che ha recuperato in 25 anni di ricerche, e poi come e perchè la vita diventa altro, si trova a raccogliere scarpe di bambini e di donne e di uomini annegati a una ventina di chilometri da Ben Guardane ma sulla costa, che Ben Guardane è un pò verso l’interno e le sue genti col mare c’hanno poco a che fare.
E poi c’è Chamseddine Marzoug che di anni ne ha 53, fa il volontario della Croce Rossa da una decina d’anni almeno, e lui invece i morti annegati a Zarzis li raccoglie e li seppellisce. A lui lo vanno a chiamare pure a casa e di notte i pescatori per dirgli che sono stati trovati dei corpi, di venirli a prendere, che bisogna seppellirli. E lui arriva, raccoglie i cadaveri che arrivano sulla spiaggia dal mare, li porta in ospedale, chè il medico dichiari lo stato di morte, e li va a seppellire in uno spazio adibito a cimitero dei morti senza nome ripescati dal mare.
Prima, qualche anno fa, quando i morti senza nome erano di meno, li seppellivano tutti nel cimitero musulmano della città, poi hanno iniziato a diventare troppi, e le persone cominciano a lamentarsi quando diventano troppi, che metteteli altrove, e non sono musulmani, c’è il cimitero cattolico che e’ mezzo vuoto e ci stanno seppelliti pure quei 23 soldati italiani della seconda guerra, e c’e’ pure quello ebraico in citta’ di cimitero, ma a parlare di questi cimiteri si riaccendono vecchi e nuovi rancori, e allora per i morti senza nome annegati in mezzo al Mediterraneo un’area dignitosa per seppellirli non la si riesce a trovare, e così finiscono in uno spazio ricavato in una vecchia discarica qualche km nell’entroterra di Zarzis.
E Chamseddine li raccoglie, ”e devi stare attento a prenderli, si rompono”, con i guanti e le mascherine “che gli devi togliere le alghe, le pulci di mare e lo sporco che c’hanno addosso prima di seppellirli”, e che scava le buche con la pala, a mano e con qualcuno che lo aiuta, che un uomo adulto è pesante e non ce la fai a farlo scendere nella buca da solo, ti cade, e solleva i morti annegati con la porta del pollaio a mò di branda, che funziona bene per quello che serve – a sollevare i morti annegati – perchè la porta del suo pollaio c’ha un telaio rigido di ferro e una griglia interna di rete che fa passare l’acqua e la sabbia attraverso – e la ruspa della municipalità che viene ogni tanto a scavare e le buche le fa sì velocemente, ma con la pala smuove i mucchietti di sabbia coi morti sotto e cancella i segni, bisogna saperlo adoperare bene, l’escavatore.
“La sepoltura, bisogna garantire a questi corpi almeno la sepoltura, è un fatto di coscienza prima di tutto. E’ etica, prima ancora che religione”.
E tu te la fai la strada, in macchina con Mohsen e Chamseddine, uno che raccoglie rifiuti dal mare da 25 anni e che per 37 anni ha fatto il postino a Zarzis, e uno che raccoglie e seppellisce cadaveri affogati in mare da dodici anni come volontario della Croce Rossa, ed effettivamente arrivi in una discarica, e dentro c’è il cimitero dove sono seppelliti questi morti annegati e senza nome.
“Di spazio per tumularli non ce ne è più, sono rimasti 8, 9 posti al massimo. Laggiu’ non si può, inizia la terra di un privato. Quell’area li e’ pubblica ma e’ piena di detriti edili, c’è il vuoto sotto, e se li seppellisci là i morti scivolano e vanno a finire chissa’ dove, non li trovi piu”.
Allora ti guardi intorno, e anche se fai attenzione all’inizio fatichi a vederlo, il cimitero. Poi, di colpo, centinaia di piccoli mucchi di sabbia senza ordine di continuita’, dovunque, e capisci che sono tutte tombe e anche se non c’è nemmeno un bastone o una pietra ad identificarle, le tombe dei morti, lo vedi che effettivamente non c’è piu’ posto, e lì davanti una fossa già scavata ma vuota che tanto prima o poi qualcuno da seppellire arriva, e subito dopo la strada d’accesso e lo spazio è finito, e le fioriture rosse di questa estate mediterranea a rendere se possibile ancora più surreale un posto che di normale non ha niente, una discarica con dentro un cimitero dei morti annegati senza nome.
Chamseddine chiede un cimitero per i morti senza nome e annegati: un pezzo di terra recintato, con l’acqua per lavare i corpi dalle alghe e dai detriti del mare, un mezzo con una cella frigorifera per il trasporto dei cadaveri, abbigliamento proprio degli operatori, planimetria certa delle tumulazioni, targhette di riconoscimento, una insegna con su scritto ‘cimitero’. Trentamila euro, dice lui, sono sufficienti, per fare un cimitero ai morti senza nome che arrivano qui a Zarzis, Tunisia, a una 80ina di km dal confine con la Libia e a circa 150km da Sabratha, da dove e’ partita l’ultima imbarcazione affondata e di cui già 27 corpi sono stati recuperati, anche se ne cerchiamo ancora qualcuno la mattina all’alba, che non si sa mai.
Nemmeno a Mohsen glie lo hanno dato uno spazio per fare il museo della ‘Memoria del Mare’. E lui l’aveva fatto a casa sua e nel suo giardino il museo, e a guardar le foto era bellissimo, con 50.000 bottiglie raccolte e tutte sistemate, alcune pure con la letterina dentro come nei cartoni animati, e le bitte e casse e reti e tante tante cose che il mare ha sputato e che lui ha raccolto, fino alle scarpe dei bambini e degli harraga annegati. Poi il figlio s’è dovuto costruire la casa in mezzo al giardino, e Mohsen s’è messo daccordo con qualcuno per farlo altrove, ma poi non se ne è fatto più niente e adesso il suo personalissimo museo è sempre nel giardino di casa ma più piccolo, tra casa sua e la casa che si è costruito suo figlio, e la munnezza raccolta in 25 anni lungo le coste di Zarzis esposta e visibile è molta di meno ma sempre a casa sua ed è molto bello lo stesso quello che c’è, perchè è memoria, e testimonianza, e di memoria e testimonianza c’è bisogno come del pane.
E c’è pure chi viene recuperato vivo in mezzo al Mediterraneo, mica tutti affogano per fortuna, e vivo finisce al centro della Croce Rossa di Medenine, un centro di transito a 60km da Zarzis e lontano dal mare.
Al centro in questo fine giugno ci sono 135 ospiti, uomini donne ragazzi ragazze donne in cinta madri bambini, tutti insieme e divisi tra i piani della palazzina con le televisioni e i materassi e il cibo, e sono tutti sopravvissuti alla traversata dalla Libia verso l’Italia e recuperati dalla marina tunisina in mezzo al Mediterraneo mare. Oddio, non è che queste persone – quelle che ho incontrato a Medenine, intendo – abbiano fatto naufragio vero e proprio; un gruppo è stato recuperato dalla guardia costiera tunisina con il gommone che già imbarcava acqua, “eravamo alla deriva col motore in panne, altre due ore e finivamo tutti in mare” dice un uomo di 43 anni della Costa d’Avorio; un altro gruppo, il più numeroso e recente in ordine di arrivo, è stato agganciato il primo giorno di Ramadan, la loro barca – un gommone stracarico con 127 persone a bordo – e finito col motore rotto alla deriva verso una piattaforma petrolifera, che ha chiamato la guardia costiera tunisina dicendo che c’era una barca di migranti alla deriva vicino la loro piattaforma, e così sono rientrati nel porto di Zarzis con la guardia costiera e si trovano qui, a 60km dal mare, al centro della Croce Rossa di Medenine a decidere che fare.
E fa caldo, è Ramadan, si digiuna per tutto il giorno, e tu lo sai – questo si, lo sai – che le migrazioni sono un fenomeno complesso e articolato, e che i motivi per cui si parte – le ragioni – sono tante, diverse, stratificate, come tante e diverse sono le ragioni che spingono 150-200 mila persone all’anno a raggiungere l’Europa attraverso la Libia e il Mediterrano Centrale.
Ma sai che 150 – 200 mila persone non sono tante per un continente di 500 milioni di persone.
Sai che oggi in Libia oggi sono prigioniere c.a. 1 milione di persone, 1 milione di prigionieri,
e sai pure – e pure questo, lo sai, si sa, è storia, testimonianza, memoria – che in Libia è un inferno.
Lo sai, si sa, è provato, certo, raccontato, scritto, visto e testimoniato, è un inferno in terra, la Libia di oggi.
E te lo dice pure quel ragazzo del Gambia di 22 anni che parla bambarà con gli altri ragazzi dell’Africa Occidentale, – che a Sabratha è un inferno, che si spara, e ti chiudono ammassati in case che sono prigioni, e che sono degli uomini ‘senza dio’, quelli lì in Libia.
Li vedi, e sono ragazzi – e ragazze, ragazzine e ragazzini, donne in cinta, bambini, giovani padri e madri -, e pensi che da ragazzi ci si sente invincibili, che alla fine hanno attraversato mezza Africa e patito per mesi le pene dell’inferno per finire a Medenine in Tunisia e a 60km dal mare, e che a guardare negli occhi qualcuno che e’ stato recuperato dalla guardia costiera tunisina in un gommone stracarico alla deriva in mezzo al Mediterraneo, dopo essere stato caricato a forza da uomini senza dio banditi, che per mesi e mesi e derubati stuprati sparati prigionieri schiavi merce, oggetti, cose, mentre la mattina sei andato cercando cadaveri sulla costa ed hai visto in una discarica una buca già scavata ma vuota e che aspetta un corpo in decomposizione che tanto prima o poi arriva, non ha niente, niente di normale, perchè non è normale parlare con uno vivo e pensare che non è morto affogato solo per un caso e tu che immagini poteva essere morto e coperto di alghe e pulci di mare e Chamseddine a seppellirlo nella buca gia’ pronta non ha niente, niente di normale, e il cimitero dei morti senza nome nella discarica di Zarzis, che là dentro ci vanno a finire i morti annegati senza nome, che c’è già una buca scavata ma vuota perchè tanto qualcuno in decomposizione presto o tardi lì dentro ci finisce sicuro, e che non c’è più spazio e non si sa i prossimi morti dove andranno a finire che la discarica è piena.
Pensi alle bottiglie d’acqua piene di piscio e spiaggiate sulla riva e non capisci perchè, poi pensi che probabilmente si piscia in bottiglia perchè non ci si può muovere sulla barca per quanta gente sta ammassata, che se ti muovi tu si muovono tutti e alla fine tutto il gommone si rovescia, ma questo non me lo ha detto nessuno, e lui sulla barca, sul gommone c’è già stato, lui il ragazzo del Gambia di 22 anni che parla bambarà lo sa, io no, e io non lo ho chiesto a nessuno. Ho pensato pure che qualcuno se l’era messe da parte queste bottiglie, che l’acqua salata non si può mica bere e allora ci si mette da parte il piscio da bere, che non si sa mai.
Ma questo non glielo chiedo, al ragazzo del Gambia, a quello del Cameroun e della Costa d’Avorio, o alla ragzza nigeriana dagli occhi piccoli piccoli.
Io non lo so.
Ad alcune persone, quando le guardi negli occhi, ci vedi i fantasmi, dentro agli occhi.
E non ha niente di normale.
Normale. Partire, sogno, incubo. Essere traditi dalle promesse dei tuoi stessi connazionali e finire nelle mani di mafie maliane, nigerine, algerine, tunisine, malmenati in Libia e derubati stuprati sfregiati sparati prigionieri schiavi merce, oggetti, cose, buttati su un gommone alla fine della vita e della dignità e in mare annegare, in mare dove le barche pescano tonni e le lampare sardine e tu a morire e andare a fondo e riemergere dopo una decina di giorni o forse sette e finire sulla spiaggia in mezzo a plastica scatole vestiti e bottiglie piene di piscio e le alghe, per essere seppelliti senza nome in una discarica arrivata a saturazione senza nemmeno un bastone piantato nella sabbia a indicare dove stai, dove sta il tuo corpo. Una discarica che la guardi e non capisci che dovunque guardi ci stanno i morti, centinaia, senza nemmeno un cartello con la scritta ‘cimitero’, lì, un bimbo di 5 anni piu o meno, li’ una giovane donna, dice Chamseddine, “perchè bisogna seppellirli con dignità, sono esseri umani”.
E se li ricorda tutti Chamseddine, e se si dimentica lui e’ finita, che adesso stanno finalmente iniziando a seppellire i corpi con un braccialetto e la targhetta con la numerazione internazionale di riconoscibilità, adesso che il cimitero nella discarica è arrivato a saturazione quando per anni i morti sono stati seppelliti, uno a uno, come in una fossa comune diffusa e a tempo, adesso che non piove da febbraio a Zarzis ma che quando piove i mucchietti di terra si slavano via.
E prima o poi qualcuno chiedera’ – dov’è? -, in futuro ci sara’ qualcuno, che questo significa ‘cimitero’, il luogo dove sono seppelliti i propri cari e tu là vai a piangerli e a onorarli – perchè chiunque da qualche parte ha qualcuno che aspetta e prima o poi qualcuno verrà a chiedere, a Zarzis, a cercare i propri cari, come i soldati italiani seppelliti nel cimitero cristiano che è mezzo vuoto ma loro lì stanno e prima o poi qualcuno sempre viene, e per questo Chamseddine li seppellisce a questi morti senza nome, lui che se li ricorda tutti, e che seppellisce morti in putrefazione che hanno la colpa di essere partiti: “C’è sempre una famiglia che aspetta, una telefonata, dei soldi, un segno, qualcosa. Che aspetta loro che sono finiti schiavi in questa vita, morti annegati e a marcire sulla spiaggia, tra alghe e rifiuti. A costo di seppellirmeli nel giardino di casa, l’onore della sepoltura continuerò ad offrirglelo, finche campo”.
‘blindare il mare’, chiede l’Europa.
Piuttosto che liberalizzare i visti
legalizzare il viaggio
e drenare umanità e risorse a mafie criminali,
l’Europa risponde col canto della paura:
‘blindare il mare’: annegare
e senza nome risalire dal fondo in avanzato stato di decomposizione e spiaggiarsi tra plastica e rifiuti e alghe
e bottiglie d’acqua piene di piscio
e senza nemmeno più una discarica dove essere sepolti.
Come se fosse possibile, poi, blindare il mare.
Finirà la colpa dell’andare, finirà come è finita la schiavitu’, penso mentre aspetto che il muezzin chiami la fine di questa giornata di Ramadan qui a Tunisi che ne frattempo mi ha accolto in una calda caldissima sera di fine giugno, seduto su di un tavolino all’aperto dalle parti di Bab Bahr, la porta della città che guarda al Mediterraneo, ma che il mare non lo vede, il mare è qualche chilometro più in là.
Mentre il cielo e migliaia di rondini e rondoni in volo sopra Tunisi, rondini e rondoni tutti indaffarati a nutrire i loro piccoli, che comunque a breve bisogna ripartire e tornare laggiu’, a casa.
Maggio 2016
o della Grotta del Saraceno
22 febbraio 2024
Google Earth, acquisizione del 3 novembre 2022, Vasto, Abruzzo, Italia.
La mattina presto era meglio, c’era il vento da terra.
La ‘Grotta’ è per i più un secret italiano, visibilissimo da Google Earth in uno dei suoi mood migliori.
Surfato da 30+ anni, è considerato uno dei points sinistri più belli d’Italia, con frangenti che possono superare i 300 metri di lunghezza.
Faccio parte di quella generazione che vedeva le previsioni meteomarine sul televideo, e conservo da 25 anni un libro in fotocopia “Abruzzo, 60 alberi da salvare”, di un autore, Valido Capodarca, che ha dedicato la vita a mappare alberi monumentali in Italia, a definirne le caratteristiche (fisiche e culturali che fossero), e a promuoverne un riconoscimento giuridico.
Se sembra scontato a chi legge che gli alberi monumentali siano tutelati come beni naturali, culturali, e del paesaggio, dico che fino al 2008 (quando cioè viene inserita, con la modifica dell’art. 136 del D.lgs. 63, la dicitura ‘ivi compresi gli alberi monumentali’), erano considerati, a livello normativo, legna da ardere, roba “vecchia, senescente, seccaginosa, marcescente”.
Per campanile, scrivo pure che l’iter di protezione dei patriarchi parte dall’ Abruzzo nel 1971 con Franco Tassi e pochi altri pionieri, e che è questa protezione è ancora lontana dall’essere realizzata.
Matvejevic nel suo Breviario scrive che “gli abitanti del Mediterraneo parlano meno di onde che di venti, forse per il fatto che gli ultimi influiscono maggiormente sugli stati d’animo, in definitiva sulle parole stesse’.
Immaginate lo stato d’animo e le parole alla scoperta 6 mesi fa di un progetto da 3,5 milioni di euro che chiuderà completamente la baia del Saraceno con barriere frangiflutti, cancellandone per sempre l’onda con un intervento sovradimensionato, vecchio per tecnologia e modalità, in una delle spiagge più belle d’Italia.
“Attività commerciali in ginocchio”, si è letto sulla stampa locale, a giustificazione dell’intervento.
Da satellite, nella prima immagine si vede la spiaggia in concessione nel lato nord, i recinti di due proprietà in croce nel lato sud, e nessuno in ginocchio. Sempre nella prima immagine, è evidenziato il movimento della linea di costa dal 2004 a ieri utilizzando lo storico delle immagini in archivio GE, non i servizi segreti.
Nella seconda immagine, si vedono gli italici ombrelloni in serie nella zona verosimilmente dichiarata “in ginocchio”, è una immagine del 2010 e la secca è sostanzialmente uguale a quella di oggi.
Nella terza immagine,cio che è stato approvato
Da un punto di vista tecnico, nonostante dubbi sollevati da professionisti di ambito, possibilità di utilizzo di tecnologie meno impattanti, il supporto di (alcuni fra i massimi) esperti in materia sulla necessità di un approccio completamente diverso, il progetto sembra inattaccabile.
Ma se non si riesce a contrastare un progetto come questo da un punto di vista tecnico, è possibile difendere uno dei più bei surf break italiani in quanto surf break? E’ possibile riconoscere eccellenza monumentale di un luogo in virtù della sua onda? Esiste un appiglio normativo per salvaguardare un surfbreak come patrimonio naturale, monumentale, e come risorsa sportiva, socioeconomica e culturale? Esiste in Italia una strategia propositiva che provi a generare norme o meccanismi via via progressivamente sostanziali di protezione e tutela del frangente come elemento costitutivo degli ecosistemi costieri e marini, per prevenire minacce future?
Risposta breve: no.
E se qualche studio legale volesse farsi sentire ben venga che siamo disperati, e c’è da essere disperati del fatto che ogni onda italiana è potenzialmente in pericolo perchè, di fatto, non esiste
Nonostante le onde intese come ‘frangenti’ siano un elemento essenziale per il mare, componente fondamentale del sistema naturale, condizione, icona, nonostante diano forma alle coste, le ‘onde’ non esistono in senso normativo, non sono oggetto di riconoscibilità giuridica come patrimonio e risorsa naturale e culturale.
Men che meno esiste giuridicamente il concetto di surf break; se un surfbreak è quella striscia del litorale dove, grazie alla combinazione positiva di fattori di idrodinamica marina, meteorologia e morfologia costiera, si generano onde con una forma adatta per la pratica del surf, non esiste menzione in nessuna norma, e pur considerando che la maggior parte delle coste non producono onde surfabili, quando lo fanno c’è un vuoto, perchè un surfbreak giuridicamente non esiste: i surfisti, sostanzialmente, non hanno luogo.
Eppure esiste dagli anni ‘90 una mappatura documentale certa di larga parte degli spot italiani, (come parte del processo di mappatura e codificazione degli spot su scala mondiale) sviluppata da un gruppo di surfers-ricercatori che ruotavano attorno alla rivista Surf News e che ha strutturato, relazionandosi con le comunità locali, una localizzazione certa e una classificazione dimostrata, e dimostrabile, delle caratteristiche – codificate, comunicabili con un linguaggio condiviso su scala globale – e della specifica idrodiversità di ogni spot mappato: tipo di onda, finestra swell, stagionalità, periodo, tipo di frangente, fondale, venti funzionali, maree, canali di accesso, pericoli, ecc.
E’ grazie a quella mappa se esiste oggi la possibilità di avere 100.000+ persone che si muovono nel bene e nel male alla ricerca di onde da un spot all’altro, con previsioni meteomarine costruite per e su quella mappa, e scuole surf, professionisti e cani sciolti, federazione, media, business plurimilionario and so on.
Ed è grazie a quella mappatura se esistono, ancora oggi, posti segreti, anche se si vedono perfettamente su Google Earth: ci sono comunità che non sono mai volute apparire sulle mappe, altre che via via sono lì comparse, altre che negli anni hanno voluto via via scomparire.
Il fatto – certo, evidente, che accomuna tutte le storie che compongono il mosaico surf italiano – è che nonostante sia il dove ad aver creato il cosa, per quanto riguarda il surf, il dove all’oggi non esiste, se è possibile che bellezza monumentale e decenni di storia locale vengano spazzate via senza nemmeno la possibilità di dire a livello giuridico: fermi, qui esiste questo.
Ci sono esempi di decine e decine di onde scomparse, tante altre in pericolo, e biografie di comunità che hanno provato a reagire in maniera reattiva, ma non esiste all’oggi in Italia nessuna azione giuridicamente propositiva, che provi cioè a strutturare un percorso e un agire giuridico e di comunità che includa espressamente la nozione di ‘onda’ e ‘surf break’ come soggetto di norma.
Manca all’oggi un precedente, un appiglio, uno strumento.
Modelli a cui ispirarsi, diversi per tipologia, già esistono nel mondo: la Nuova Zelanda, primo paese al mondo ad adottare una legislazione che tutela surf breaks in forma diretta, ha garantito protezione giuridica (2010) a 17 onde di importanza nazionale; questo riconoscimento ha permesso che a cascata onde considerate di importanza regionale o locale venissero via via attenzionate, creando de facto un sistema di protezione e valorizzazione dal livello nazionale a livello locale.
Il Perù è un altro esempio di tutela specifica dei frangenti, che con la “ley de preservacion de las rompientes apropriadas para la practica deportiva”, (2001, 2013) ha protetto 43 onde a livello governativo.
Il Cile sta lavorando a una legge simile, e punta all’approvazione nel 2024; le comunità locali nel frattempo hanno ottenuto che venisse inserito il frangente di Punta de Lobos all’interno della omonima riserva UNESCO garantendogli così protezione indiretta, metodo seguito anche alle Azzorre, dove si è riusciti ad includere onde all’interno di aree marine protette come sistema di protezione.
L’Uruguay ha avviato un processo di creazione di Riserve di Surf riconosciute dallo Stato attraverso la validazione di un elenco dei frangenti, e nell’anno 2021 il Ministero dell’Ambiente ha espresso appoggio formale al programma.
In Inghilterra è nata nel 2024 una World Surfing Reserve in North Devon, una delle 12 patrocinate da SaveTheWave coalition, assieme ad Ericeira, in Portogallo, e altre in Messico, Cile, California, Australia; sebbene queste WSR non abbiano valore vincolante, sono un passo positivo nel cammino verso un riconoscimento sostanziale del patrimonio che i surf break rappresentano in termini naturalistici, paesaggistici, culturali, ed economici, per i territori e le comunità coinvolte.
In Francia esiste, recentemente istituita, (2023) la riserva d’onde di Quiberon in Bretagna; voluta a livello comunale, che punta a difendere l’idrodiversità delle onde del territorio in oggetto, ossia le onde nella loro diversa identità, e di riflesso il tratto di mare e di costa che concorrono alla loro formazione.
Ancora: le Hawai’i non menzionano a livello normativo le onde in maniera diretta, ma attraverso la legislazione vigente sono utilizzati meccanismi indiretti per proteggere le onde considerate attività ricreative oggetto di protezione, includendo così luoghi dove praticare il surf che includano le onde.
Il Costarica non ha una legislazione specifica per la protezione delle onde, ma ha promosso l’ attività del surf come attività di interesse nazionale: dal 2019 esiste una legge che dichiara la pratica e lo sviluppo del surf di interesse pubblico e attività di importanza turistica economica e sportiva.
Il Marocco agli inizi degli anni 2000 ha deciso di bloccare l’allargamento del porto di Safi (il porto commerciale più grande del Marocco centro – settentrionale) per salvare una delle 10 onde più belle del mondo, le Jardin di Safi appunto, riconoscendone di fatto il valore monumentale, grazie ai sacrifici e all’impegno di uno sparuto gruppo di devoti locali, un salvataggio site – specific colpevolmente ancora poco raccontato.
In Italia una normativa specifica che riconosca le onde come patrimonio naturale e culturale è ancora sostanzialmente inesistente; questo, nonostante l’evidenza racconti che quasi un terzo delle coste italiane siano fagocitate da barriere frangiflutti con l’Adriatico, letteralmente, cimitero di massi, e che un appiglio, un precedente, uno strumento sia necessario come aria.
Leggi, decreti, strumenti di pianificazione territoriale, piani spiaggia o altri strumenti legali che menzionino i frangenti, all’oggi, non esistono.
Non esiste un elenco depositato a livello ministeriale di frangenti meritevoli, o l’avvio di una dialettica con le Regioni per una normatizzazione, non è stato avviato all’oggi nessun processo di riconoscimento, e a parte sporadici interventi locali, nè le onde nè gli spot come luoghi esistono in senso giuridico. Se a livello comunale esistono sparuti meccanismi di identificazione site-specific, la situazione generale è di un gigantesco vuoto normativo e identitario sul ’dove’ come esito e ragione prima ancora che come luogo specifico.
Un riconoscimento sostanziale delle onde come meritevoli di protezione e tutela, in Italia, è possibile: esiste un elenco e una mappatura degli spot, esistono criteri di valutazione della qualità di queste onde internazionalmente codificati, uno storico e una storia locale, un gruppo di interesse e di pressione, esistono requisiti per dimostrarne carattere di eccellenza e monumentalità in senso paesaggistico, naturalistico, socio-culturale, economico, gia’ esistono riferimenti pertinenti in leggi e normative che trattano questioni ambientali, paesaggistiche o culturali che possono essere utili nello sviluppo di un processo di riconoscimento identitario e normativo dei surf spot.
Esiste inoltre l’evidenza scientifica che la stragrande maggioranza degli spot di eccellenza insistono all’interno di hotspot di biodiversità ecosistemica (a livello mondiale come a livello nazionale): riconoscere la specificità dei frangenti in tantissimi casi significa riconoscere – e per questo proteggere – ricchezza ecosistemica, dove l’onda è parte del tutto e simbolo di una protezione più ampia, riassumibile nel concetto di surf-ecosystem e foriero di possibilità nuove.
C’è bisogno di confronto, sicuramente: la pubblica opinione, le comunità coinvolte, i media, la Federazione, la comunità scientifica, la politica di territorio, regionale, nazionale, l’ambientalismo, serve un dibattito che sostenga la necessità o meno di vedere riconosciuta a livello giuridico l’esistenza dei surf-break come evidenze e esiti meritevoli di attenzione e tutela, il frangente come patrimonio, paesaggio, bene culturale ed ambientale, un dibattito che contribuisca alla nascita di siti di interesse meritevoli di protezione in quanto surf-ecosystems, e arrivare così ad avere strumenti, un percorso, e precedenti, per il presente e il futuro dei tanti ‘dove’ italiani e delle comunità coinvolte di oggi e domani.
Di pacifismi, Europa, nazismi, e ipocrisie
8 marzo 2022
Leggevo ieri Toni Capuozzo, su fb: “[...] un grande leader è quello che accompagna il suo popolo nella traversata del deserto, lo salva [...]”, disquisendo sulla utilità di una (parziale) resa Ucraina come salvazione.
Nei commenti dei followers al suo “elogio alla resa dignitosa”, una declinazione a migliaia e a varie intensità del seguente concetto: Zelenskji, nel rifiuto a cedere (qualcuno diceva “pur di non dimettersi”, qualcun’altro “pur di non fare concessioni”, qualche altro, semplicemente :’fenomeno!’, alta la percentuale, soprattutto di donne, che scrivevano ‘che tratti per amor di Dio!’ insomma, declinazioni di resa, realpolitik, paura), ecco, Zelenskji, appunto, è disposto a lasciar sterminare il suo popolo, (e “noi”), a far scoppiare la terza guerra mondiale, pur di non trattare.
Arrendersi, concedere, perchè no, capitolare, per mettere in salvo.
Ho chiesto quali concessioni dovrebbe fare, di grazia, Zelenskji: se quelle richieste dal Cremlino per terminare l’operazione speciale “within minutes”, come dichiarato – neutralità, niente NATO e niente EU, smilitarizzazione, riconoscimento russo della Crimea, indipendenza repubblichine popolari, un nuovo governo – o altre, ma non ho ottenuto risposta.
Oggi, in un nuovo post, “sulla strada del ritorno”, scritto da quella Bosnia che lui, Capuozzo, conosce benissimo, trovo “l’impegno (ucraino n.d.r.) a non entrare nella nato, larghe autonomie ai secessionisti, sciogliere il battaglione Azov e mettere fuori legge Centuria (“stranamente, nessuno ne parla mai…”), scrive proprio così Capuozzo, non che alluda eh, figuriamoci, ma che si stupisca che non se ne parli, avevo quasi dimenticato l’intento dichiarato di ‘denazificare’, com’era l’annuncio a reti unificate? “denazificare una nazione governata da drogati nazisti”.
“[...] Sì, è umiliante, ma quante vite umane salvi, mettendo Putin in difficoltà, obbligandolo a rilanciare chiedendo dimissioni di Zelensky e indipendenza delle repubblichette, ma insomma è diplomazia…..”.
Effettivamente, mentre scrivo, intravedo nella nebbia di notizie che Zelenskji avrebbe acconsentito a non meglio specificate aperture per quanto riguarda Crimea, Donbas, e neutralità (Nato); non so, però, se Putin si accontenterebbe o meno di queste ‘concessioni’; per me, il fulcro della de-escalation resta Putin, meno Zelenskji, capitolare a questo Cremlino mi fa immaginare scenari di rappresaglia e terrore assoluti e già visti, ma non ho strumenti per rispondere, non credo lo sappia nemmeno Capuozzo, che si stupisce comunque di Azov e Centuria, e continua nell’elenco di cosa auspica, piuttosto che l’ eccidio certo: [...] “intervieni a mediare. L’Europa, mandando armi, si è bruciata la possibilità di mediare, fatto salvo le telefonate senza effetto di Macron”.
Ecco, Macron a parte, mi chiedo e chiedo perchè Capuozzo non si interroghi anche sulla presenza neonazista tra le fila dei militari russi; la presenza nazifascista negli eserciti è un problema radicato in tanti paesi, russia compresa, a maggior ragione in contesti dove esiste un nazionalismo marcato. Perchè Capuozzo non parla dei volontari ceceni di Kabirov, complice di Putin nel massacro di Grozny, degli assoldati a 300 dollari al mese dalla Siria del macellaio Assad, chiamati a ‘liberare’, dei neonazisti – italiani, per esempio – al soldo di Putin in Donbas, ma si stupisca che nessuno parli di Centuria, in un post accorato e un riferimento a Centuria, o Azov.
Perchè Capuozzo non parla di Wagner.
Non lo so, è libero di parlare di quello che gli pare, mi rispondo ma non mi convinco.
Perchè Wagner è più ‘famosa’ di Centuria? Perchè Wagner è una società di contractors, non è inquadrata nell’esercito, a differenza di Azov? Perchè la Russia è una potenza nucleare? Perchè l’Ucraina uno stato con le pezze al culo?
Sono rapporti di forza, coglione! Mi rispondo da solo ma non mi convinco, io che mi sono abbeverato per anni ai reportage di Capuozzo – che considero comunque un gigante – ma che non sono mai stato un suo fan, anzi, sarà anche perchè -perdonerete questa riduzione di una professionalità complessa – ma a casa mia la fininvest da ragazzetto l’ho potuta vedere poco, regole familiari, mia madre, sapete.
Zang! Tumb! Tumb! Centuria, Wagner, e cavalcate, già.
Azov (nel frattempo verosimilmente annientato a Mariupol proprio dai tagliagole ceceni di Kabirov), è argomento di fior fiore di intellettuali e antifascismi italiani, Centuria è tema d’indagine, ma si fa finta -spesso e letteralmente- che non esistano gruppi di neonazisti nell’esercito russo, che non esista un movimento ispirato a Ivan Il’in e al neonazismo di Dugin nella Duma, che fior fiore di intellettuali evitino scientificamente di sottolineare quanto Putin e questo cremlino siano ispirati da questi ‘pensatori’, da quel ‘bolscevismo sintesi tra comunismo e fascismo’, nelle parole di Dugin, il “Putin’s Rasputin” (sic).
Bah.
Non capisco perchè in Italia si faccia tutta questa fatica a riconoscere che questa Russia, questo Cremlino, siano un covo di fascisti di merda. Che sostiene – nelle parole, appunto, di Dugin, un “fascismo fascista radicalmente rivoluzionario e coerente”. Anche per rispetto dovuto a quelle migliaia e migliaia di oppositori, manifestanti, giornalisti, persone brutalizzate da un regime, da questo regime, riconoscere il neofascismo in questo cremlino è un atto intellettualmente onesto oltre che doveroso, davvero non capisco, sarà realpolitik, ma davvero non capisco.
Zang! Tumb! Tumb!
Ero a Maidan quel febbraio 2014.
Yanukovich era scappato all’alba, poco prima era terminata la mattanza.
Avevo già visto altre piazze in quegli anni: in Kosovo nel 2010, le prime elezioni senza Onu, Jakarta contro l’inasprimento legislativo di quegli anni; tanta Cina, 6 mesi in due anni; elezioni in Somaliland, Marocco, Tahrir in Egitto 3 anni prima, e un paio di mesi prima, Gezi park, a Istanbul. Venivamo io e Giovanna da un lungo viaggio attraverso le repubbliche centroasiatiche (letteralmente: dopo Turkmenistan, Uzbekistan, Kyrgyzstan, eravamo ad Aktau in Kakakstan poche ore prima di arrivare a Kyiv, passando per Uralsk).
La presenza nazifascista nelle proteste di quella piazza era uno dei motivi di quella nostra ricerca sugli ‘stan’- come il ruolo e la presenza del Cremlino, come la russofilia, la russofobia, la nostalgia, e la memoria – ricerca portata avanti nei giorni e nei mesi successivi: beh, in quella piazza abbiamo trovato tanta, tanta, tanta bellezza. Tanta dignità, fierezza, una Nazione, un popolo, ideali, diritti, bisogno, libertà, Euromaidan.
Questo vorrei che anche Capuozzo, finalmente, lo accettasse: la questione ucraina non può essere ridotta, ancora e ancora, a nazismi e allusioni. La questione ucraina – complessa, stratificata, articolata, giovane, problematica – non può essere schiacciata alla peggiore propaganda del Cremlino, non può essere ridotta all’allusione, alla presunzione di connivenza, alla complicità con le peggiori ombre nere.
Che anzi, si allungano, tentacolari, da quella che è stata, una volta, ma che non è più, l’Unione Sovietica,
mentre tante voci e tanti occhi, in Italia più che altrove, continuano a far finta di non vedere e sentire.
Per tanti, in Italia più che altrove, ‘l’allargamento a est della nato’ è argomento ragionevole e ragionato di sicurezza della Russia; “l’allargamento verso ovest della Russia”, il solo accennarlo, è esacerbare le tensioni, miopia, o menzogna, parlare dell’allargamento verso ovest del regime di Putin come “vital security issue” dell’Europa, è gettare benzina sul fuoco, o al massimo, ‘taboo’, per fior fiore di intellettuali italiani.
Zang! Tumb! Tumb!
E così, mentre la Cina annuncia di ritenere la responsabilità del conflitto della NATO e degli US, io qualche domanda ce l’ho: Il referendum del 28 febbraio – la fine della neutralità nucleare bielorussa-: è follia che l’Europa ne chieda conto, che ne chieda ‘annullamento? E’ aumentare la tensione, considerare questa decisione una minaccia? Chiedo. Più in generale, può l’Europa considerare un pericolo la non neutralità bielorussa? Sottolineare che la Transinistria frontiera d’Europa non sia solo folklore, è violenza anti-russa? Allargamento a est della Nato è un vital issue per la sicurezza della Russia, ma la pressione da est Russa sulla frontiera europea, può essere motivo di timore o escalation, oppure no, vale solo se ne parli la Russia? I missili puntati sui Baltici dall’enclave di Kaliningrad, è violenza e aggressività europea? L’Abkazia, il sud Ossezia, la Crimea, le repubbliche popolari, fino a quando ‘liberare’ con la forza e annettersi territori di stati sovrani in nome di genocidi unilateralmente dichiarati e mai verificati da nessun organismo indipendente sarà accettabile? Davvero, non capisco, fior fiore di intellettuali me lo spieghino.
Oltre a stupirsi del fiorire di sterco nazista e di nazismi (dovunque e non solo in Ucraina, ribadisco): la Finlandia e la Svezia neutrali – per imposizione, minaccia, russa – con questa Russia alle porte – è liberta’, o a questi due paesi è concesso di avere paura, e di avere una sovranità? Spiegatemelo, davvero. La stessa Ucraina – Crajina, appunto, frontiera -: lì, gli interessi nazionali russi sono legittime richieste che vanno ascoltate; le richieste europee sulla sua stessa Crajina, sono ingerenze inaccettabili: un governo filorusso in Ucraina è accettabile mediazione, un governo filo-europeo è colpo di stato della nato.
Davvero, non capisco.
La paura dei Baltici di questa Russia, è fobia isterica? le preoccupazioni polacche, alla luce della loro storia, sono folli? L’America: più e più volte ha dichiarato di considerare il fronte europeo come secondario, impegnata com’è a gestire intanto, i suoi enormi -enormi- problemi interni, e poi – poi – a fronteggiare la Cina, in un conflitto ibrido nel quale è già in ritardo. Trump ha più e più volte sottolineato che 300.000 soldati americani in Europa siano una spesa eccessiva per gli u.s., e ha chiesto – alla sua maniera balorda – più e più volte che siano gli Europei a pagare e pagarsi la Nato sul proprio territorio. Tutte menzogne? Biden ha subito, dal suo insediamento, fatto capire la volontà di disengagement progressiva dall’Europa, un chiaro invito da parte americana, all’Europa a pensare ad un suo maggiore protagonismo – anche economico – alla sua difesa. E onestamente, a parte la dichiarata volontà ucraina di voler entrare nella nato (più in Europa che nella Nato, a dirla tutta), la stessa alleanza atlantica non ha mai accellerato questo ingresso, tutt’altro, oltre al fatto poco ricordato, per dirla alla Capuozzo, che in base all’articolo 10 dell’Alleanza, non è possibile accettare nell’Alleanza nessuno stato che abbia al suo interno conflitti e dispute militari irrisolti.
Ma a parte tutto questo: l’Europa, nelle sue legittime esigenze di sicurezza continentale, dove dovrebbe guardare, se non alla NATO, con la Russia, con questa Russia, alle sue frontiere?
Fatemi sapere, davvero, non capisco.
Zang! Tumb! Tumb!
Mi si può rispondere che non esiste ancora, l’ Europa, ma ancora gli egoismi degli stati nazione.
Sicuri? Siete Sicuri? L’Europa uscita dalla pandemia e dall’assalto dei populismi,
l’Europa che sta affrontando questa crisi militare sul suo territorio,
siete sicuri non sia in potenza e in atto una Europa nuova, siete sicuri non sarà di una politica militare comune europea, questo tempo?
Sicuri, che allo stato attuale, l’Europa dovrebbe ridimensionare – addirittura rifiutare, per qualcuno – la propria adesione continentale alla nato, che le parole della Russia sono condivisibili, pur non tenendo in considerazione evidenti vital security issues europei?
“We will reconsider the presence of Nato in eastern Europe within minutes, if Russia accepts our conditions”.
Immaginate? L’Europa che ritiene”vital security issue” la difesa del proprio confine orientale, e ha avviato una”special operation” che prevede il posizionamento delle strutture di difesa lungo tutto il confine est, fino a quando la Russia non garantirà un riequilibrio e una demilitarizzazione nella (sua) frontiera ovest: lo spazio della trattativa e della diplomazia è aperto, al fianco alla fermezza di queste posizioni, che rappresentano vital security issue continentale.
E’ il (mio) macismo virile da maschio italiano con la panciera che mi fa scrivere questo, che mi fa usare le stesse parole utilizzate dalla Russia, oppure devo continuare a fare finta che le posizioni sulla sicurezza russa siano argomenti leggittimi, mentre quegli stessi argomenti, se usati dall’Europa, sono ingerenze violente irrazionali e antirusse ? l’Ucraina ha diritto ad avere un propria politica, un interesse nazionale, una visione di lungo periodo, delle ambizioni nazionali, o è antirussa questa velleità? La Moldova, la Georgia, possono avere delle volontà in politica estera, o offendono le sensibilità russe se non accettano quello che la Russia vuole? Quante Cecenie, ancora? Le promesse tra Gorbacev e Reagan di non allargamento, a parole, senza firme. E i trattati firmati invece? La denuclearizzazione ucraina in cambio di integrità territoriale, il trattato di Budapest, che fine ha fatto? E’ morto in Crimea? C’è spazio per questa diplomazia, per queste domande, o è una escalation qualunque interesse continentale, se interferisce con questa Russia? Può l’Europa come soggetto politico, avere una visione?
Zang! Tumb! Tumb!
A chi è contrario all’invio di armi in Ucraina: sapete – sappiamo, e lo sa pure Capuozzo, che ricorda sicuramente l’embargo sulle armi alla Bosnia di 30 anni fa, Bosnia che resisteva contro l’esercito jugoslavo, Davide e Golia e il sangue degli slavi del sud, e sa pure Capuozzo che gli armamenti, allora, erano bombette rispetto a quelli di oggi – che la Russia utilizza la tecnica dello ‘starve and submit’ per ‘liberare’ territori
- letteralmente: mettere alla fame e sottomettere – l’abbiamo visto in Siria, sappiamo – che questa è la tecnica militare russa di assedio delle città, tecnica rodata e efficace, con l’attuale ministro della difesa russo – civile, ma che usa divisa militare -, stratega in Siria; sapete – sappiamo, si sa – che funziona così. Che si circondano le città, si distruggono progressivamente tutti i canali di approvvigionamento di cibo, medicine, armi, si chiudono gli accessi, le vie di fuga, si lascia crepare la gente di fame, stenti, e bombardamenti, indiscriminati, su tutto e tutti. Dal cielo, bombe a caduta, bunker buster – le Betab-500 da 1000 libbre, 435kg – bombe, addirittura!!!! meno intelligenti delle bombe intelligenti
Zang! Tumb! Tumb!
su ospedali, quartieri residenziali, rifugi, case, civili, dovunque, bombe a grappolo, abbiamo visto il sarin anzi, no, cloro, che bomba chimica non è o forse si, dipende, e bunker buster di 435kg sopra a gente chiusa in metropolitana o nelle cantine, boooom. Si sa -sappiamo – che si fa fare il lavoro sporco di stanare la gente ai tagliagole assoldati, a contractors, a dannati.
Sapete – si sa, sappiamo – che i corridoi umanitari russi sono trappole, l’avete – l’abbiamo – visto in Siria; che si fanno uscire civili alla fame tra due ali di nemici e li si carica su autobus diretti, altrove, nel frattempo si riadatta il combattimento, postazioni, rifornimenti, si prende la mira, e via, si continua, starve and submit, boooom, 120.000+ bombardamenti in tre anni, Zang! Tumb! Tumb!, russi e lealisti a bombardare una resistenza sprovvista di aereoplani e mezzi di difesa antiaerea, 120.000+ volte, Aleppo, non solo, Siria, Davide e Golia dai cieli, abbiamo visto, abbiamo accettato, sappiamo che anche dopo il cloro, dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio, lanciato dal cielo sulla gente, da sopra a sotto, non si è voluto agire, che la linea rossa non è stata superata, forse si, no, Obama e russi e l’occidente, Trump, Bannon, Putin, Dugin, Assad, tra legittime agende, ingerenze, regole d’ingaggio, l’agonia di questa Onu e della gente, si è lasciato correre.
Per realpolitik, perchè tanto sono terroristi, arabi tagliagole, per il rischio di una guerra mondiale, perchè la russia ha la bomba nucleare.
Ecco: il diritto internazionale – anzi: la speranza di un diritto internazionale – subordinato definitivamente alla bomba atomica, di questo si è trattato e si tratta. Non più nemmeno spazio per una ‘resa dignitosa’, no, ma subordinazione, sopraffazione, schiavitù, stupro, barbarie, potenzialmente perpetua.
La bomba nucleare sopra a tutto.
Non solo milioni di profughi usati come armi, fino a 5 milioni di persone, una stima, sradicate solo questa volta, fino alla prossima liberazione, con populisti, posizioni, dibattiti pubblici che già abbiamo visto essere schiavi marionette e abbeverati di propaganda, astuti attori pagati a cercare con pervicacia di distruggere l’Europa dall’interno
- questa Europa che, pur tra mille fallimenti e difficoltà, ha resistito al peggiore e più infame populismo,
alla pandemia, a migliaia e migliaia di abbeverati alla fogna sovranista a sfruttare profughi e frontiere
come armi per distruggerla, per massacrarla, con il solo obiettivo di smembrarla, di sezionarla,
non è guerra -ibrida, infame – questa?
Non solo l’ovvio ricatto energetico del maggiore fornitore europeo – questo, nonostante questa Europa abbia affidato – secondo me, a ragione e fiducia – il proprio stesso sostentamento energetico, in ottica di integrazione continentale, per vedersi attaccata da dentro, dal suo cuore, e accusata di essere un pericolo, proprio da questa Russia a cui aveva sostanzialmente dato il proprio motore, non è guerra?
Non solo la peggiore guerra di propaganda sul suolo europeo al soldo di questo Cremlino,
non solo – e arriverà il momento in cui una commissione parlamentare d’inchiesta, in Italia, una gigantesca indagine europea, farà luce sulla guerra ibrida che come Europa abbiamo e stiamo vivendo contro questa internazionale populista, nomi e cognomi, infiltrati di Putin, dovunque, arriverà-.
Anche, il ricatto perpetuo e la minaccia con la bomba n
tutti, “conseguenze che mai avete immaginato” ha detto qualcosa del genere, minacce con la certezza dell’impunità, se non vengono accettati ultimatum, condizioni rilanciate e sostenute da migliaia e migliaia e migliaia di abbeverati alla fogna della più bieca propaganda, senza più nemmeno lo spazio della diplomazia, anche della resa dignitosa, ma solo territorio della prevaricazione e del saccheggio istituzionalizzato, dello stupro politico, del dominio.
Le minacce continue di Putin, non sono già guerra?
Questo, mentre il movimento pacifista (italiano) grida nè con la Russia, nè con la Nato,
contro ogni guerra lasciamo sbocciare la pace, contrari all’invio di armi all’Ucraina.
Legittimo, per carità, ma non in mio nome.
Nietzche è morto, Dio pure, e pure Dostoevskij, ma per quanto mi riguarda,
Dio è morto definitivamente su Aleppo con quel cloro dal cielo,
mia figlia si chiama Dusha, mio figlio Delio,
e vorrei che il padre eterno risorgesse su Kyiv oggi.
Strumenti a chi si sta difendendo, per proteggersi e contrattaccare.
Una mattina, mi son svegliato, o bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao.
Sanzioni contro questo regime criminale, ancora e ancora,
e sobbarcandomi con chiarezza e lealtà le conseguenze
bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao
Confidando che questo regime collassi, che non trovi più nemmeno i soldi per pagare i soldati,
- 100 dollari, il prezzo alla famiglia di ogni caduto al fronte.
100 dollari, uno stato di morti di fame, il prezzo di un morto per la patria.
Che ci sia spazio alla diplomazia, alle concessioni, anche alla asimmetria,
alla resa parziale, onorevole,
non solo prevaricazione, schiavitù, propaganda,
di questo regime infame.
Come avrei voluto le bombe Nato sulle postazioni lealiste e russe, già anni fa, in Siria,
come ho riconosciuto positiva la (folle, si, ma leggittima) uccisione di Souleimani il macellaio
a Baghdad,
se continueranno con la starve and submit sopra a milioni di persone dai cieli d’Ucraina,
senza che nessuna antiaerea possa difendere,
io voglio le bombe nato sulle postazioni russe.
E’, sarà guerra mondiale?
Non lo so. Davvero, non lo so.
Lasciare che l’Ucraina venga schiacciata senza sostegno militare alcuno salverà il mondo dalla guerra mondiale?
Non lo so.
La ‘ragionevole resa’, una ‘capitolazione’, della Ucraina,
farà tornare finalmente la pace, spegnerà i venti di guerra?
Non sa nessuno nemmeno questo.
Domande, solo domande.
Le occupazioni de facto della sud Ossetia, della Abkatia: il rischio che questa Russia decida per la possibile definitiva annessione, e per prendersi definitivamente pezzi di Caucaso e mar nero alla Georgia, alla luce degli avvenimenti degli ultimi anni e della politica russa, è una possibilità?
La Transinistria: pensare che dalla Crimea la Russia si spinga prima o poi fino a lì, con l’intenzione si prendersi mezzo mar Nero, dalla Georgia alla Romania, in nome, chessò, di un presunto genocidio russo, è delirio o legittimo terrore?
La Moldova: può questa evidente politica di espansione russa, in barba a qualunque diritto internazionale, preoccuparla, oppure deve continuare a confidare che una sua perenne neutralità non le faccia correre rischi di occupazione e saccheggio e occupazione? La Bielorussia, la dittatura più longeva d’Europa, marionetta nelle mani di questa Russia, ma più in generale: quanta autonomia di manovra, di decisione, ha e avrà l’Europa in politica continentale, nel suo rischio perenne che questa Russia si innervosisca e agisca, così?
Domenica sono passato a Domusnovas in Sardegna, con la panda, Giovanna, e i nostri bambini.
A Domusnovas si fanno le bombe, non solo lì, e le persone incrociate erano poveri cristi, in una delle aree più povere d’Europa.
A casa, guardo i bambini nel letto.
Penso a quanto possa sia stucchevole una retorica che parla, che mostra sempre di bambini.
Stucchevole: ma a ben guardare, non si vive per i bambini?
L’impunità, la minaccia, la menzogna, è futuro?
Ecco: a Toni Capuozzo glielo vorrei chiedere, questo si, visto che ha scritto il post dalla Bosnia che conosce benissimo: perchè perfino in Serbia poveri cristi hanno manifestato a favore degli ucraini, mentre in Italia si assiste ad un livello di giustificazionismo, benaltrismo, quando non ad un vero e proprio servilismo, degli interessi putiniani, così gigantesco e infame?
2020
Ogni matrimonio è il racconto di una intimità condivisa.
Ma ogni matrimonio è anche frammento di una storia più grande,
è uno spaccato assolutamente vivo della società, della cultura, del periodo storico in cui è ambientato.
Antropologicamente parlando, è testimonianza, fatto, documento.
Storia.
Sono felice di poter testimoniare momenti di intimità condivisa in tempi di pandemia,
qui, adesso.
Abruzzo, Italia, 2020.
Canary Islands, winter 020
autunno 2019
Una proposta nata per caso,
una giovane coppia innamorata di queste montagne,
il giorno prima della Grande Neve.
2 gradi centigradi, libeccio in quota,
Campo Imperatore,
Abruzzo,
Italia.
Estate 2019
Monastero-Fortezza di Santo Spirito,
Ocre (AQ).
La terza Abbazia Cistercense fondata in Italia,
la prima in Abruzzo.
Le sue origini e l’epopea Celestiniana camminano insieme da 800 anni.
La sala è la chiesa (sconsacrata) del complesso monastico,
con affreschi del 1250 c.a.
Una location incredibile.
Bono e Ale, grazie di cuore
Estate 2019
Santa Maria di Ronzano (1181 c.a.)
castel Castagna, (Te)
Perchè sposarsi in Abruzzo.
Novembre 2019
Roccamorice (PE), e un pò più sù,
oltre Eremi e fino ai 2000 metri di Mamma Rosa,
attraverso la via dei Tholos
faggete e boschi
più forti del tempo e degli incendi.
Perchè sposarsi in Abruzzo.
Majella Madre, Abruzzo, Italia.
Milano c/o Fabbrica del Vapore
Somaliland, a video
MAS-CTH – Mohamed Aden Sheikh Children Teaching Hospital – Hargeisa, Somaliland from Mario Trave on Vimeo.
13 gennaio 2017
Festa
giugno 2017
Zarzis, Europe
“Guarda che non c’e’ niente di normale nel cercare corpi di gente annegata lungo la costa”, mi dice Mohsen mentre camminiamo sulla battigia a est di Zarzis, all’alba e alla ricerca di rifiuti e di corpi di genti annegate.
Perche’ correnti sottomarine – e dio solo sa quanto è complesso il Mediterraneo mare – e venti, batimetria, conformazione di costa e fondali, moto ondoso, sfiga, – spingono qui la munnezza, in questo tratto di costa tunisina a 250km da Tripoli, e i morti annegati dell’ultimo naufragio alla fine sempre qua arrivano a spiaggiarsi, tra plastica e rifiuti provenienti da tutto il Mediterraneo mare.
E Mohsen Lihidhed, che da 25 anni cammina lungo la costa per cercare plastica e oggetti sputati dal mare, lui che e’ un postino in pensione di 64 anni, che ha provato a fare un museo chiamato ‘la Memoria del Mare’ con tutta la munnezza che ha recuperato in 25 anni di ricerche, e poi come e perchè la vita diventa altro, si trova a raccogliere scarpe di bambini e di donne e di uomini annegati a una ventina di chilometri da Ben Guardane ma sulla costa, che Ben Guardane è un pò verso l’interno e le sue genti col mare c’hanno poco a che fare.
E poi c’è Chamseddine Marzoug che di anni ne ha 53, fa il volontario della Croce Rossa da una decina d’anni almeno, e lui invece i morti annegati a Zarzis li raccoglie e li seppellisce. A lui lo vanno a chiamare pure a casa e di notte i pescatori per dirgli che sono stati trovati dei corpi, di venirli a prendere, che bisogna seppellirli. E lui arriva, raccoglie i cadaveri che arrivano sulla spiaggia dal mare, li porta in ospedale, chè il medico dichiari lo stato di morte, e li va a seppellire in uno spazio adibito a cimitero dei morti senza nome ripescati dal mare.
Prima, qualche anno fa, quando i morti senza nome erano di meno, li seppellivano tutti nel cimitero musulmano della città, poi hanno iniziato a diventare troppi, e le persone cominciano a lamentarsi quando diventano troppi, che metteteli altrove, e non sono musulmani, c’è il cimitero cattolico che e’ mezzo vuoto e ci stanno seppelliti pure quei 23 soldati italiani della seconda guerra, e c’e’ pure quello ebraico in citta’ di cimitero, ma a parlare di questi cimiteri si riaccendono vecchi e nuovi rancori, e allora per i morti senza nome annegati in mezzo al Mediterraneo un’area dignitosa per seppellirli non la si riesce a trovare, e così finiscono in uno spazio ricavato in una vecchia discarica qualche km nell’entroterra di Zarzis.
E Chamseddine li raccoglie, ”e devi stare attento a prenderli, si rompono”, con i guanti e le mascherine “che gli devi togliere le alghe, le pulci di mare e lo sporco che c’hanno addosso prima di seppellirli”, e che scava le buche con la pala, a mano e con qualcuno che lo aiuta, che un uomo adulto è pesante e non ce la fai a farlo scendere nella buca da solo, ti cade, e solleva i morti annegati con la porta del pollaio a mò di branda, che funziona bene per quello che serve – a sollevare i morti annegati – perchè la porta del suo pollaio c’ha un telaio rigido di ferro e una griglia interna di rete che fa passare l’acqua e la sabbia attraverso – e la ruspa della municipalità che viene ogni tanto a scavare e le buche le fa sì velocemente, ma con la pala smuove i mucchietti di sabbia coi morti sotto e cancella i segni, bisogna saperlo adoperare bene, l’escavatore.
“La sepoltura, bisogna garantire a questi corpi almeno la sepoltura, è un fatto di coscienza prima di tutto. E’ etica, prima ancora che religione”.
E tu te la fai la strada, in macchina con Mohsen e Chamseddine, uno che raccoglie rifiuti dal mare da 25 anni e che per 37 anni ha fatto il postino a Zarzis, e uno che raccoglie e seppellisce cadaveri affogati in mare da dodici anni come volontario della Croce Rossa, ed effettivamente arrivi in una discarica, e dentro c’è il cimitero dove sono seppelliti questi morti annegati e senza nome.
“Di spazio per tumularli non ce ne è più, sono rimasti 8, 9 posti al massimo. Laggiu’ non si può, inizia la terra di un privato. Quell’area li e’ pubblica ma e’ piena di detriti edili, c’è il vuoto sotto, e se li seppellisci là i morti scivolano e vanno a finire chissa’ dove, non li trovi piu”.
Allora ti guardi intorno, e anche se fai attenzione all’inizio fatichi a vederlo, il cimitero. Poi, di colpo, centinaia di piccoli mucchi di sabbia senza ordine di continuita’, dovunque, e capisci che sono tutte tombe e anche se non c’è nemmeno un bastone o una pietra ad identificarle, le tombe dei morti, lo vedi che effettivamente non c’è piu’ posto, e lì davanti una fossa già scavata ma vuota che tanto prima o poi qualcuno da seppellire arriva, e subito dopo la strada d’accesso e lo spazio è finito, e le fioriture rosse di questa estate mediterranea a rendere se possibile ancora più surreale un posto che di normale non ha niente, una discarica con dentro un cimitero dei morti annegati senza nome.
Chamseddine chiede un cimitero per i morti senza nome e annegati: un pezzo di terra recintato, con l’acqua per lavare i corpi dalle alghe e dai detriti del mare, un mezzo con una cella frigorifera per il trasporto dei cadaveri, abbigliamento proprio degli operatori, planimetria certa delle tumulazioni, targhette di riconoscimento, una insegna con su scritto ‘cimitero’. Trentamila euro, dice lui, sono sufficienti, per fare un cimitero ai morti senza nome che arrivano qui a Zarzis, Tunisia, a una 80ina di km dal confine con la Libia e a circa 150km da Sabratha, da dove e’ partita l’ultima imbarcazione affondata e di cui già 27 corpi sono stati recuperati, anche se ne cerchiamo ancora qualcuno la mattina all’alba, che non si sa mai.
Nemmeno a Mohsen glie lo hanno dato uno spazio per fare il museo della ‘Memoria del Mare’. E lui l’aveva fatto a casa sua e nel suo giardino il museo, e a guardar le foto era bellissimo, con 50.000 bottiglie raccolte e tutte sistemate, alcune pure con la letterina dentro come nei cartoni animati, e le bitte e casse e reti e tante tante cose che il mare ha sputato e che lui ha raccolto, fino alle scarpe dei bambini e degli harraga annegati. Poi il figlio s’è dovuto costruire la casa in mezzo al giardino, e Mohsen s’è messo daccordo con qualcuno per farlo altrove, ma poi non se ne è fatto più niente e adesso il suo personalissimo museo è sempre nel giardino di casa ma più piccolo, tra casa sua e la casa che si è costruito suo figlio, e la munnezza raccolta in 25 anni lungo le coste di Zarzis esposta e visibile è molta di meno ma sempre a casa sua ed è molto bello lo stesso quello che c’è, perchè è memoria, e testimonianza, e di memoria e testimonianza c’è bisogno come del pane.
E c’è pure chi viene recuperato vivo in mezzo al Mediterraneo, mica tutti affogano per fortuna, e vivo finisce al centro della Croce Rossa di Medenine, un centro di transito a 60km da Zarzis e lontano dal mare.
Al centro in questo fine giugno ci sono 135 ospiti, uomini donne ragazzi ragazze donne in cinta madri bambini, tutti insieme e divisi tra i piani della palazzina con le televisioni e i materassi e il cibo, e sono tutti sopravvissuti alla traversata dalla Libia verso l’Italia e recuperati dalla marina tunisina in mezzo al Mediterraneo mare. Oddio, non è che queste persone – quelle che ho incontrato a Medenine, intendo – abbiano fatto naufragio vero e proprio; un gruppo è stato recuperato dalla guardia costiera tunisina con il gommone che già imbarcava acqua, “eravamo alla deriva col motore in panne, altre due ore e finivamo tutti in mare” dice un uomo di 43 anni della Costa d’Avorio; un altro gruppo, il più numeroso e recente in ordine di arrivo, è stato agganciato il primo giorno di Ramadan, la loro barca – un gommone stracarico con 127 persone a bordo – e finito col motore rotto alla deriva verso una piattaforma petrolifera, che ha chiamato la guardia costiera tunisina dicendo che c’era una barca di migranti alla deriva vicino la loro piattaforma, e così sono rientrati nel porto di Zarzis con la guardia costiera e si trovano qui, a 60km dal mare, al centro della Croce Rossa di Medenine a decidere che fare.
E fa caldo, è Ramadan, si digiuna per tutto il giorno, e tu lo sai – questo si, lo sai – che le migrazioni sono un fenomeno complesso e articolato, e che i motivi per cui si parte – le ragioni – sono tante, diverse, stratificate, come tante e diverse sono le ragioni che spingono 150-200 mila persone all’anno a raggiungere l’Europa attraverso la Libia e il Mediterrano Centrale.
Ma sai che 150 – 200 mila persone non sono tante per un continente di 500 milioni di persone.
Sai che oggi in Libia oggi sono prigioniere c.a. 1 milione di persone, 1 milione di prigionieri,
e sai pure – e pure questo, lo sai, si sa, è storia, testimonianza, memoria – che in Libia è un inferno.
Lo sai, si sa, è provato, certo, raccontato, scritto, visto e testimoniato, è un inferno in terra, la Libia di oggi.
E te lo dice pure quel ragazzo del Gambia di 22 anni che parla bambarà con gli altri ragazzi dell’Africa Occidentale, – che a Sabratha è un inferno, che si spara, e ti chiudono ammassati in case che sono prigioni, e che sono degli uomini ‘senza dio’, quelli lì in Libia.
Li vedi, e sono ragazzi – e ragazze, ragazzine e ragazzini, donne in cinta, bambini, giovani padri e madri -, e pensi che da ragazzi ci si sente invincibili, che alla fine hanno attraversato mezza Africa e patito per mesi le pene dell’inferno per finire a Medenine in Tunisia e a 60km dal mare, e che a guardare negli occhi qualcuno che e’ stato recuperato dalla guardia costiera tunisina in un gommone stracarico alla deriva in mezzo al Mediterraneo, dopo essere stato caricato a forza da uomini senza dio banditi, che per mesi e mesi e derubati stuprati sparati prigionieri schiavi merce, oggetti, cose, mentre la mattina sei andato cercando cadaveri sulla costa ed hai visto in una discarica una buca già scavata ma vuota e che aspetta un corpo in decomposizione che tanto prima o poi arriva, non ha niente, niente di normale, perchè non è normale parlare con uno vivo e pensare che non è morto affogato solo per un caso e tu che immagini poteva essere morto e coperto di alghe e pulci di mare e Chamseddine a seppellirlo nella buca gia’ pronta non ha niente, niente di normale, e il cimitero dei morti senza nome nella discarica di Zarzis, che là dentro ci vanno a finire i morti annegati senza nome, che c’è già una buca scavata ma vuota perchè tanto qualcuno in decomposizione presto o tardi lì dentro ci finisce sicuro, e che non c’è più spazio e non si sa i prossimi morti dove andranno a finire che la discarica è piena.
Pensi alle bottiglie d’acqua piene di piscio e spiaggiate sulla riva e non capisci perchè, poi pensi che probabilmente si piscia in bottiglia perchè non ci si può muovere sulla barca per quanta gente sta ammassata, che se ti muovi tu si muovono tutti e alla fine tutto il gommone si rovescia, ma questo non me lo ha detto nessuno, e lui sulla barca, sul gommone c’è già stato, lui il ragazzo del Gambia di 22 anni che parla bambarà lo sa, io no, e io non lo ho chiesto a nessuno. Ho pensato pure che qualcuno se l’era messe da parte queste bottiglie, che l’acqua salata non si può mica bere e allora ci si mette da parte il piscio da bere, che non si sa mai.
Ma questo non glielo chiedo, al ragazzo del Gambia, a quello del Cameroun e della Costa d’Avorio, o alla ragzza nigeriana dagli occhi piccoli piccoli.
Io non lo so.
Ad alcune persone, quando le guardi negli occhi, ci vedi i fantasmi, dentro agli occhi.
E non ha niente di normale.
Normale. Partire, sogno, incubo. Essere traditi dalle promesse dei tuoi stessi connazionali e finire nelle mani di mafie maliane, nigerine, algerine, tunisine, malmenati in Libia e derubati stuprati sfregiati sparati prigionieri schiavi merce, oggetti, cose, buttati su un gommone alla fine della vita e della dignità e in mare annegare, in mare dove le barche pescano tonni e le lampare sardine e tu a morire e andare a fondo e riemergere dopo una decina di giorni o forse sette e finire sulla spiaggia in mezzo a plastica scatole vestiti e bottiglie piene di piscio e le alghe, per essere seppelliti senza nome in una discarica arrivata a saturazione senza nemmeno un bastone piantato nella sabbia a indicare dove stai, dove sta il tuo corpo. Una discarica che la guardi e non capisci che dovunque guardi ci stanno i morti, centinaia, senza nemmeno un cartello con la scritta ‘cimitero’, lì, un bimbo di 5 anni piu o meno, li’ una giovane donna, dice Chamseddine, “perchè bisogna seppellirli con dignità, sono esseri umani”.
E se li ricorda tutti Chamseddine, e se si dimentica lui e’ finita, che adesso stanno finalmente iniziando a seppellire i corpi con un braccialetto e la targhetta con la numerazione internazionale di riconoscibilità, adesso che il cimitero nella discarica è arrivato a saturazione quando per anni i morti sono stati seppelliti, uno a uno, come in una fossa comune diffusa e a tempo, adesso che non piove da febbraio a Zarzis ma che quando piove i mucchietti di terra si slavano via.
E prima o poi qualcuno chiedera’ – dov’è? -, in futuro ci sara’ qualcuno, che questo significa ‘cimitero’, il luogo dove sono seppelliti i propri cari e tu là vai a piangerli e a onorarli – perchè chiunque da qualche parte ha qualcuno che aspetta e prima o poi qualcuno verrà a chiedere, a Zarzis, a cercare i propri cari, come i soldati italiani seppelliti nel cimitero cristiano che è mezzo vuoto ma loro lì stanno e prima o poi qualcuno sempre viene, e per questo Chamseddine li seppellisce a questi morti senza nome, lui che se li ricorda tutti, e che seppellisce morti in putrefazione che hanno la colpa di essere partiti: “C’è sempre una famiglia che aspetta, una telefonata, dei soldi, un segno, qualcosa. Che aspetta loro che sono finiti schiavi in questa vita, morti annegati e a marcire sulla spiaggia, tra alghe e rifiuti. A costo di seppellirmeli nel giardino di casa, l’onore della sepoltura continuerò ad offrirglelo, finche campo”.
‘blindare il mare’, chiede l’Europa.
Piuttosto che liberalizzare i visti
legalizzare il viaggio
e drenare umanità e risorse a mafie criminali,
l’Europa risponde col canto della paura:
‘blindare il mare’: annegare
e senza nome risalire dal fondo in avanzato stato di decomposizione e spiaggiarsi tra plastica e rifiuti e alghe
e bottiglie d’acqua piene di piscio
e senza nemmeno più una discarica dove essere sepolti.
Come se fosse possibile, poi, blindare il mare.
Finirà la colpa dell’andare, finirà come è finita la schiavitu’, penso mentre aspetto che il muezzin chiami la fine di questa giornata di Ramadan qui a Tunisi che ne frattempo mi ha accolto in una calda caldissima sera di fine giugno, seduto su di un tavolino all’aperto dalle parti di Bab Bahr, la porta della città che guarda al Mediterraneo, ma che il mare non lo vede, il mare è qualche chilometro più in là.
Mentre il cielo e migliaia di rondini e rondoni in volo sopra Tunisi, rondini e rondoni tutti indaffarati a nutrire i loro piccoli, che comunque a breve bisogna ripartire e tornare laggiu’, a casa.
Maggio 2016